20 Aprile 2024

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LA ‘NDRANGHETA NELLE PAROLE DEL COLLABORATORE DI GIUSTIZIA LUIGI BONAVENTURA: “RINFORZIAMO I PROGRAMMI DI PROTEZIONE, VICEVERSA LO STATO FARA’ UN CATTIVO SERVIZIO ALLA LOTTA AL CRIMINE ORGANIZZATO”.

di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista, docente  

Ex mafioso e collaboratore di giustizia italiano dal 2006, noto in passato per essere stato reggente della cosca ‘ndranghetista dei Vrenna-Corigliano-Ciampà-Bonaventura, operante nel territorio di Crotone: questo l’identikit di Luigi Bonaventura, che ha fatto della sua testimonianza anti-‘ndrangheta l’emblema di una civiltà democratica e libera, di una cultura che si contrappone alla subcultura del potere, dell’abuso e della coercizione.

Ma chi è davvero Bonaventura? Il padre, il marito, l’Uomo che ha “fatto nomi”, che ha subito pesanti minacce, Testimone di uno Stato che protegge, ma che necessita di Linee guida di più alto respiro per una Giustizia che possa definirsi veramente tale?

Ne abbiamo parlato con l’Uomo Bonaventura in persona, che, ai microfoni di Teleone, ha ripercorso la sua Storia, che è poi emblematicamente la Storia di tanti collaboratori di giustizia, e che ha dato suggerimenti, vividi e netti, a uno Stato che voglia definirsi davvero “Alleato di chi si allea con lo Stato contro le Mafie”.

“Le Mafie? Cosa dire? Realtà antiche, più antiche della Repubblica Italiana – apre Bonaventura – Realtà che fondano la loro identità sui valori forti, intoccabili, dell’onore e dei soldi, Valori che rappresentano un’onorata civiltà, dove vigono collusione e favoritismo. Si tratta di una guerra infinita tra il Bene e il Male, dove impera la Legge degli imbrogli, la Legge contro le Brave Persone, testimone di una subcultura arcaica”.

Una subcultura in cui nascere equivale spesso a rimanere invischiati in una prigione senza luce e morire infarciti dei Vecchi Valori: in molti casi, ma non in tutti, come testimonia, appunto, il caso di Luigi Bonaventura, non senza difficoltà interne a una Scelta delicata, dettata da motivazioni sacre, trainate dall’Amore.

“Questa Mafia, quella che ho respirato fin da bambino, è a conduzione familiare: cresco da bambino- soldato, maneggio armi che credevo giocattolo e che si sono poi dimostrate vere, ricordi indelebili, che mi hanno segnato irrimediabilmente – continua Bonaventura – In tutto questo però sono stato fortunato: i miei nonni materni mi hanno trasmesso la mentalità del rispetto e dell’Amore, e per Amore ho sposato mia moglie, questo mi ha reso un Uomo, un marito e poi un padre, forte e spinto verso la decisione di collaborare con la Magistratura. Quando nasci e cresci in un luogo in cui vige la sopraffazione questa diventa una prigione, non puoi scegliere, e ogni scelta di libertà ha il suo prezzo”.

Un prezzo che sovente si paga con l’isolamento, l’abbandono e le minacce, un prezzo che nessun Testimone, nessun Uomo, dovrebbe pagare, e che richiede un’azione di protezione specifica da parte dello Stato, come lo stesso Bonaventura indica con spiccata lucidità.

“Quando decidi di cambiare vita subisci agguati, incendi alle attività commerciali, ogni forma di intimidazione, questo devi metterlo in conto. Eppure collaborare con lo Stato è una scelta che rifarei mille volte, una Scelta di Amore sul modello degli insegnamenti di mio nonno, una Scelta finalizzata a liberare i miei figli che non dovranno più preoccuparsi se si innamoreranno di un poliziotto, per esempio. Rifarei questa scelta, in nome della Libertà di Essere. L’unico rammarico è che il nostro programma di protezione è grandemente inadeguato, insoddisfacente, e se non cambia, temo che la Scelta di collaborare potrebbe subire una serie battuta di arresto”.

Fuori dal programma di protezione dal 2014, disposto con la famiglia in località protetta, l’Uomo Bonaventura di oggi parla di una protezione insufficiente, di una scorta che si fa presente solo per gli interrogatori, di un sussidio statale che non si può equiparare al lavoro vero e proprio, e che non apporta dignità al Padre e al Cittadino, e chiede “Giustizia alla Giustizia”, imperniata sul concetto di Cambio Anagrafico.

“Dobbiamo essere chiari – conclude perentorio – Lasciamo perdere i cognomi di copertura, noi collaboratori dobbiamo cambiare generalità immediatamente, come avviene in America, per proteggere i nostri figli contro la discriminazione a scuola e nel mondo del lavoro. Ricordiamoci infine, e questo mi duole dirlo, che i collaboratori che danno un contributo reale al fenomeno AntiMafia, i collaboratori che io definisco tecnicamente di Qualità, sono soltanto il 30% di tutti i collaboratori in Italia. Non possiamo permetterci di perderli per strada e lo Stato in questo, attraverso un programma di protezione efficace, ha un ruolo decisivo”.