Donald Trump in persona ha annunciato l’accordo commerciale raggiunto con la Cina. In realtà, più che un accordo, è una tregua, anzi, per essere più precisi, un patto di non belligeranza che, stando a quanto ha scritto il Wall Street Journal, dovrebbe avere una validità di sei mesi. Se proprio la dobbiamo dire tutta, beh, ad uscirne bene in questa fase è il Paese del Dragone.
La Cina, infatti, continuerà ad esportare i propri prodotti negli Stati Uniti d’America con dazi doganali del 30%: considerato che il Paese di Xi Jinping non avrebbe avuto a chi vendere i propri beni è un grande risultato. Lo è un po’ meno per gli USA che, conti alla mano, con il 30% dei dazi non risolvono certo il problema dell’enorme deficit federale provocato, in gran parte, proprio dalla Cina. I beni americani che verranno venduti nella stessa Cina subiranno un dazio del 10%. Piaccia o no, almeno per l’aspetto strettamente commerciale, almeno per quello che appare dalle notizie che si leggono qua e là, i cinesi escono vittoriosi.
Poi, è noto, gli accordi commerciali sono fatti di tante sfaccettature che in questo momento non conosciamo. Si sa, per citare alcuni esempi, che i cinesi, che avevano bloccato l’esportazione di terre rare negli Stati Uniti d’America, torneranno a rifornire gli USA delle stesse terre rare. Così come gli americani hanno ritirato le restrizioni sull’esportazione di microchip e vari componenti per la costruzione di aeromobili. Come stiamo imparando a conoscere, l’attuale presidente USA è imprevedibile. Non si può escludere che cambi idea prima dei prossimi sei mesi.
In ogni caso, bisogna riconoscere che Trump ha presentato bene, praticamente come una vittoria, il patto di non belligeranza semestrale siglato con la Cina. Come già accennato, non è esattamente una vittoria, ma così appare in tutto il mondo. Di fatto, sul piano economico e commerciale, l’attuale capo della Casa Bianca sta inanellando un successo dietro l’altro. Come scriviamo spesso, quasi nessuno ricorda mai i dazi doganali universali del 10% che gli americani hanno appioppato a tutti i Paesi del Pianeta Terra. Solo con questi dazi gli USA stanno guadagnando una barca di soldi, perché ogni giorno, nelle città americane, entrano milioni di beni che arrivano da tanti Paesi del mondo. Questa è già una grande vittoria sotto il profilo commerciale ed economico.
Se a questo aggiungiamo gli accordi commerciali con il Regno Unito, gli accordi commerciali con l’Ucraina e, adesso, il patto di non belligeranza di sei mesi con la Cina, ebbene, non si può certo dire che il presidente USA non stia lavorando per il suo Paese. Ci sarebbero anche gli accordi, sempre commerciali, con altri Paesi dei quali non si hanno notizie: ma ci sono. Trump è sempre sopra il rigo, si presenta come inaffidabile, ma quando ci sono di mezzo soldi non ne sbaglia una. Anche l’accordo con la Cina che, ribadiamo, non è esaltante va bene, perché in questo momento gli va bene così.
Resta aperto un grande fronte: l’Unione europea. Se andiamo ad analizzare le trattative con i Paesi con i quali Trump ha siglato accordi commerciali, ci accorgiamo che i tempi non sono stati lunghi. Con l’Ue, invece, come hanno fatto notare, non senza disappunto, gli stessi statunitensi, le trattative stanno andando per le lunghe. Forse un po’ troppo per le lunghe. Gli americani hanno anche illustrato le regioni di queste trattative senza fine: i Paesi dell’Unione europea sono troppi ed è difficile, se non impossibile, trovare un’intesa che metta d’accordo tutti. E’ quello che noi abbiamo scritto quando è iniziata la telenovelas dei dazi doganali americani: è sbagliato che la Commissione europea tratti per conto di 27 Paesi con esigenze diverse. Qualcuno potrebbe obiettare: negli Stati Uniti ci sono 50 Paesi e il Governo federale tratta per tutti. Vero. Ma quella americana, rispetto all’Unione europea, è una realtà federale consolidata e, soprattutto, negli USA esiste una cosa che nell’Ue non c’è: la solidarietà tra gli Stati. Basti pensare a quello che è successo dodici-tredici anni fa in Grecia: alla fine i greci avevano un debito di 300 miliardi di euro e la Germania, con le proprie banche, ne ha approfittato per depredare questo Paese con i ‘giochi’ dei diversi tassi di interesse (qui un video: https://www.repubblica.it/economia/2015/07/05/video/dalema_gli_aiuti_alla_grecia_sono_andati_alle_banche_tedesche_e_il_video_diventa_virale-422626408/). Oggi, tra l’altro, l’economia di tutta l’Unione europea è in crisi, dove più, dove meno: e in profonda crisi è soprattutto l’industria automobilistica tedesca.
Cosa stiamo cercando di dire? Che i tedeschi, attraverso la Commissione europea che controllano con la presidente Ursula von der Leyen, faranno di tutto per mantenere almeno una robusta parte di export di auto negli USA. Ma faranno un buco nell’acqua, perché la presidenza Trump, anche per l’auto, ha deciso di attuare una politica protezionista, perché vuole riportare nel proprio Paese le industrie automobilistiche che negli anni passati, nel nome della folle globalizzazione, hanno trasferito gli stabilimenti in Paesi esteri dove i costi sono inferiori, a cominciare dal costo del lavoro. Anche l’Italia, per ciò che riguarda l’industria dell’auto, è messa malissimo. Stellantis, holding multinazionale che ha inglobato la Fiat e altri marchi storici dell’auto italiana, si è ormai trasferita, armi e bagagli, negli Stati Uniti d’America, dove produrrà a prezzi più bassi e con tante agevolazioni. E vedrete che tra un po’ i grandi gruppi europei, a cominciare proprio da quelli automobilistici, che oggi pagano le imposte nel ‘Paradiso fiscale’ creato dall’Unione europea, cioè l’Olanda, cominceranno a pagare le imposte là dove produrranno le auto: in America. Ormai è questione di tempo.
Insomma, per essere chiari, non crediamo che, da qui al 9 Luglio, la Commissione europea riuscirà a trovare un accordo commerciale con gli USA.
Tra l’altro, visto che il patto di non belligeranza con la Cina, come già accennato, non è molto favorevole agli USA, gli americani non faranno molti sconti all’Unione europea. Al 31 Dicembre 2024 il surplus commerciale dell’Unione europea con gli Stati Uniti sfiorava i 200 miliardi di euro. Se non ci sarà accordo commerciale gli americani, questo va da sé, lavoreranno per azzerare questo surplus che a loro, lo ribadiamo, costa quasi 200 miliardi di dollari all’anno (ricordiamo che oggi euro e dollaro hanno quasi lo stesso valore). Non siamo molto interessati a capire come farà la Germania a trovare 85 miliardi di euro circa che verranno meno al proprio bilancio (e al proprio PIL, Prodotto Interno Lordo). Ma siamo interessati a capire come farà l’Italia, se si dovesse arrivare a una guerra dei dazi tra Ue e USA, a trovare poco più di 35 miliardi di euro: questo è il surplus commerciale dell’Italia con gli Stati Uniti d’America. Per giunta in uno scenario nel quale, come già ricordato, si va verso lo smantellamento di buona parte dell’industria automobilistica italiana. Siamo troppo pessimisti? Speriamo di sbagliarci.
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