Angela Ganci
Psicologo psicoterapeuta, giornalista
“Ho l’immagine di me che inietto quest’aria, un impulso che non so ricordare, definire, è come se fossi un’altra persona che ha agito al mio posto”.
Queste le parole che Sonya Caleffi, emblematica infermiera killer italiana, ebbe a dire durante ilprocesso a suo carico, avviato in seguito alle accuse, a lei rivolte, di morti misteriose e violente di un nutrito numero di anziani in cura presso le varie strutture ospedaliere in cui la stessa Caleffi operò durante la sua “carriera criminale”.
L’angelo della Morte, un “giustiziere”, che consegna alla Signora Morte, con una rapidità confortante, anziani già con un “piede nella fossa”, al solo scopo di esercitare un controllo e un potere personali, oltre che sfoggiare grandiosità e apparente efficienza lavorativa.
Quali caratteristiche distintive si rintracciano nella vita e nell’operato di tali killers, in particolare nella storia della Caleffi, “solerte infermiera senza apparente altro peccato che amare il proprio lavoro e la propria reputazione di efficiente professionista”?
Ripercorriamo le fasi della vita della serial killer, e il processo a suo carico, per tentare di inquadrare le motivazioni sottostanti alle azioni omicidiarie degli Angeli della Morte e le modalità tipiche degli omicidi perpetrati.
Sonya Caleffi nasce a Como il 21 Luglio 1970, ma della sua vita non si conoscono molti particolari. La sua è una famiglia che si può definire normale, non si notano particolari tensioni, né violenze o abusi. Unica grande pecca in questo quadro di apparente normalità, il rapporto con la madre, conflittuale, segnato dalle frequenti crisi depressive della donna. In proposito, Sonya ricorderà la frase ricorrente della madre, «ma che ci sto a fare il mondo, voglio morire».
La sua adolescenza è segnata da disagi di carattere psichico (anoressia e depressione) che la costringeranno a una lunga riabilitazione psichiatrica e all’assunzione di farmaci, praticamente per tutta la vita.
Considerata da tutti una ragazzina molto dolce, si sviluppa con un tratto distintivo: la vocazione all’aiuto del prossimo e il sogno di diventare infermiera. Fallimentare nelle relazioni sentimentali in cui si cimenta, sembra così vivere dell’unica grande passione, il suo rifugio, il lavoro: la medicina è la sua passione, e il sogno di fare l’infermiera l’attraversa sin da bambina.
Un’infermiera diligente, sempre presente: è la prima a correre quando si tratta di un’emergenza e racconta nel dettaglio le morti dei pazienti, in casa e al fidanzato, ma con troppo dolore, con troppa enfasi.
La sua “carriera di serial killer” inizia nel 2004 all’ospedale Manzoni di Lecco, dove si renderà responsabile della morte di quattro pazienti, non sollevando alcun sospetto tra i colleghi, fino a quando, nell’uccidere la quinta paziente, qualcosa non va come dovrebbe.
La morte di Maria Cristina, centenaria vittima, desterà infatti i sospetti dei suoi parenti, che chiedono l’autopsia per fare luce sull’implicazione della Caleffi nella morte dell’anziana. I parenti sono assolutamente certi della sua colpevolezza: vengono infatti colpiti dalla freddezza e dal distacco emotivo che l’infermiera manifesta dopo la notizia della morte della paziente.
Arrestata il 15 dicembre 2004, la Caleffi verrà imputata di diciotto omicidi, che sarebbero avvenuti ufficialmente per improvviso arresto cardiaco, ma che si sospettava attribuibili a lei perché compatibili con il suo modus operandi.
Una modalità che si delineava con una certa chiarezza: la scelta di malati gravi non terminali, l’iniezione di aria nelle vene, quindi un’attesa di qualche minuto per vedere i primi sintomi della crisi respiratoria dovuta all’embolia gassosa. Ecco che la donna aspettava che il battito divenisse irregolare, quindi dava l’allarme. Da qui cominciava la messa in scena: l’infermiera prodiga attendeva l’arrivo dei medici e delle colleghe, spiegava sintomi, in definitiva si metteva a disposizione, unicamente per essere al centro dell’attenzione dei medici e dei colleghi in una situazione critica.
Comportamenti che condurranno a conclusioni definitive, senza margini di dubbio: non può che trattarsi di una serial killer e, nonostante un complesso disturbo di personalità, la Caleffi è da considerarsi una spietata assassina, perfettamente in grado di intendere e di volere nel momento in cui praticava le insufflazioni di aria che poi provocavano la morte dei pazienti per embolia gassosa.
Questa considerazione la rese idonea al normale regime carcerario: così il 10 luglio del 2006 arriva la sentenza di primo grado e la condanna a venti anni di detenzione con rito abbreviato per l’omicidio di cinque pazienti e il tentato omicidio di altri due, sentenza confermata nei gradi successivi di giudizio.
Dal 1° ottobre 2018 Sonya Caleffi, in carcere dal Dicembre 2004, è tornata in libertà. Ha scontato solo 14 anni su 20, tra sconti di pena di varia natura.
Finalmente libera di tornare a vivere, mentre i familiari delle vittime continuano a piangere chi non sarà mai più libero di fare ritorno a una qualsiasi forma di Vita, strappata con l’inganno e il distacco tipico delle personalità omicide.
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