L’accordo commerciale tra Cina e Unione europea in alternativa al mercato americano? Mah…

Quando il Governo di Giuseppe Conte, qualche anno fa, ‘infilò’ l’Italia nel progetto cinese de ‘La Via della Seta’ non mancarono le polemiche, anche aspre. Le critiche, in parte giuste, si imperniavano sul fatto che la Cina invitava i Paesi per potergli rifilare i propri prodotti. Ribadiamo: questa era un po’ una semplificazione che, in parte, rispecchiava la verità. Paese comunista, la Cina aveva e ha ancora spostato la globalizzazione economica espressione piena del mondo ultra-liberista per potere piazzare le proprie produzioni. Nell’ottobre del 2022 si è insediato il Governo di Giorgia Meloni.
Uno dei primi atti di questo esecutivo è stato lo stop dell’Italia a ‘la Via della Seta’, con l’avallo della Commissione europea allora come oggi presieduta da Ursula von der Leyen. Con il ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump sono arrivati gli attesi dazi doganali, punto centrale del programma che il presidente ha annunciato nella Primavera di un anno fa, quando era in campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Nulla di nuovo, insomma, perché Trump ha sempre detto che, se avesse vinto le elezioni, avrebbe utilizzato a piene mani i dazi doganali per ridurre il deficit federale e per riportare in America le tante industrie statunitensi che si sono trasferite in altri Paesi dove il costo del lavoro è più basso.
A parte i sondaggi farlocchi che davano perdente il Repubblicano Trump rispetto alla candidata Democratica data per vincente, Kamala Harris, si sapeva con largo anticipo che Trump avrebbe messo fine alle esportazioni senza limite, in America, di Cina e Unione europea. Oggi, davanti all’impossibilità, per Cina e Paesi Ue, Germania e Italia in testa, di esportare i propri prodotti negli Stati Uniti senza dare nulla in cambio agli USA, assistiamo a un cambio di politica economica e commerciale da parte dell’Unione europea: se prima la Cina era un partner commerciale inaffidabile, che ‘usava’ il capitalismo ultra-liberista solo per piazzare i propri prodotti, adesso la Cina è diventato un partner commerciale ‘ideale’ con il quale sviluppare politiche commerciali in alternativa al mercato statunitense. Sì, la von der Leyen ha cambiato opinione: adesso che il mercato americano non è più gratuito, il mercato cinese diventa ‘bello’. E che dice, al riguardo, il capo del Governo italiano, Giorgia Meloni, che, tre anni fa, ha bloccato l’adesione del nostro Paese a ‘La Via della Seta’? Tra i tanti problemi della politica europea e italiana c’è, ai primi posti, la mancanza di coerenza, che fa perdere credibilità.
Ma, a parte queste tragicomiche giravolte della von der Leyen e del Governo Meloni, su quali basi si dovrebbe sostanziare l’accordo commerciale tra Cina e Ue che la presidente della Commissione europea presenta come alternativa al mercato americano? In questi casi, si sa, bisogna lasciare parlare i ‘numeri’ che, per definizione, non possono essere smentiti. Ebbene, ‘numeri’ alla mano, scopriamo che nel 2024, ovvero lo scorso anno, l’Unione europea ha esportato in Cina prodotti per un valore pari a 213,3 miliardi di euro e ha importato, sempre dalla Cina, prodotti per un valore pari a 517,8 miliardi di euro. Morale: rispetto al Paese del Dragone, nel 2024, l’Unione europea presenta un disavanzo commerciale di oltre 300 miliardi di euro. Quindi la Cina, che nel 2024 ha registrato un surplus commerciale verso gli Stati Uniti d’America di quasi mille miliardi di dollari e che oggi è in grandissima difficoltà, perché non potrà mai più guadagnare quasi mille miliardi di dollari all’anno esportando a ruota libera i propri prodotti negli USA, dovrebbe aiutare l’Unione europea prendendosi i prodotti che la Ue non riesce più ad esportare in America? Mah…
Va da sé, sempre ‘numeri’ alla mano, che negli accordi commerciali tra Unione europea targata von der Leyen e la Cina ci sono elementi di irrazionalità economica e commerciale. Piaccia o no, Cina e Unione europea sono due realtà che nell’ultimo quindicennio sono andate avanti esportando i propri prodotti nel grande mercato americano. Nel caso della Ue, in verità, bisogna distinguere da Paese a Paese. In assoluto è stata la Germania ad approfittare del mercato americano, esagerando fino all’inverosimile: cosa, questa, che gli Stati Uniti lamentano da anni. Anche l’Italia ha approfittato del mercato americano. Ora la festa è finita e l’amministrazione Trump vuole che i Paesi che esportano beni in America acquistino una certa quota di prodotti americani. Sotto questo profilo, fa sorridere la controproposta della Commissione europea all’America di Trump. Nel conto dell’import-export tra Ue e USA – questo il ragionamento della Commissione europea – bisogna tenere conto anche dei servizi offerti in Europa dai giganti americani del Web che producono utili per gli stessi gruppi americani. Vediamo, anche in questo caso, i ‘numeri’.
Nel 2024 le esportazioni dell’Unione europea verso gli Stati Uniti hanno battuto tutti i record, se è vero che hanno raggiunto la cifra di 531,6 miliardi di euro. Mentre le esportazioni statunitensi nei Paesi Ue si sono attestate intorno a 357 miliardi di euro. Fatti quattro conti, il surplus commerciale dell’Unione europea verso gli USA ha superato i 180 miliardi di euro. Qual è allora la controproposta della Commissione europea? Gli americani si dovrebbero accontentare dell’acquisto, da parte Ue, di 50 miliardi di euro di beni americani, perché nel conto ci sarebbero gli utili che i giganti americani del Web fanno in Europa. Assimilare i beni europei esportati in America ai servizi offerti dai giganti del Web nei Paesi Ue è improprio. Beni e servizi, in questo caso, non sono sovrapponibili. Tra l’altro, non tassare adeguatamente i giganti del Web americani è stata una scelta dell’Unione europea in generale e dei Paesi Ue in particolare. I vertici dei giganti del Web hanno sempre fatto sapere che, in caso di aumento delle imposte, avrebbero aumentato il costo del servizio a carico dei cittadini europei, creando inflazione. Tra l’altro, l’Unione europea non ha alternative ai servizi offerti dai giganti americani del Web. Per dirla in breve, questo ‘ricatto’ dell’Europa agli USA – della serie, se non ti accontenti di 50 miliardi noi tassiamo i giganti del Web – è un’arma spuntata.
Non solo. La controproposta Ue, sotto il profilo politico, ignora la realtà. Trump non ha mai amato i giganti del Web del suo Paese. A parte X, del suo amico Elon Musk, tutti gli altri social gli hanno sempre fatto la guerra. Si sono adeguati a Trump solo dopo l’elezione di quest’ultimo alla Casa Bianca. Ma l’attuale presidente USA non li ama. L’Unione europea li vuole tassare? Si accomodi pure: questo può solo fare piacere a Trump. Certo, ufficialmente li deve difendere (ma non troppo). Ma di fatto non gliene può fregare di meno. Per chiudere la nostra analisi dei rapporti commerciali Ue-USA, la signora von der Leyen se ne dovrà fare una ragione: l’Unione europea, per tornare a esportare a pieno ritmo negli USA, dovrà acquistare almeno 150 miliardi di dollari all’anno di beni americani, non certo 50 miliardi! Anche sulla Cina il discorso di Trump è chiarissimo: il Paese del Dragone nel primo trimestre di quest’anno, poco prima dell’arrivo dei dazi di Trump, ha esportato negli USA beni per un valore di quasi 116 miliardi di dollari, con un aumento del 4,5% rispetto allo scorso anno. Poi sono arrivati i dazi e si è bloccato quasi tutto. La Cina non potrà più mettere all’incasso, con gli USA, un surplus commerciale annuo di quasi mille miliardi di dollari. Dovrà acquistare un bel po’ di beni americani, magari non per arrivare al ‘pareggio’ ma una riduzione drastica del surplus ci dovrà essere.