19 Aprile 2024

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Le relazioni sociali “impossibili”: tutta colpa del Covid 19? Riflessioni “itineranti” attraverso l’Italia.

di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista.

Luglio 2021: l’Italia conosce una generosa tregua dalla pandemia, dopo diverse alternanze di colorazioni e restrizioni, parliamo di una tragedia sanitaria incombente dal Marzo 2020, che, a meno di varianti minacciose e incontrollabili, dovrebbe estinguere la sua influenza limitante la quotidianità in un decrescendo di limitazioni progressivo, proseguendo ben oltre il periodo estivo.
Questa la cornice di riferimento entro cui si staglia questa estate rovente, fortunatamente libera da eccessi di divieti.
Hotel che fanno registrare il tutto esaurito, sintomi di un’economia in ripresa, voli e prenotazioni di ogni tipologia di mezzo, che proceda per mare o per etere, in ascesa in quanto a numero, famiglie che si spostano, attraversamenti di Regioni semplici, fin troppo regolari, forse.
Entro questo scenario, infatti, si insinuano le varianti del Covid 19, in particolare la variante Delta, che fa parlare di sé, tra la gente in piazza, nelle cabine delle navi, nelle sale gremite dei ristoranti.
La gente ha paura, eppure, come è naturale, riempie i cinema, le pizzerie, procede con le vaccinazioni, ed è questa stessa gente che testimonia la cronaca forte di un fatto sociale, ovvero come le relazioni sociali in pandemia siano compromesse, paurose, da ridimensionare.
Luglio 2021: Palermo-Napoli, da viaggiatore con Green pass alla mano, mi accingo a un viaggio in mare, nella veste di giornalista per un evento filantropico-artistico dedicato alla difesa dell’infanzia violata. Un passeggero con una direzione precisa, dei motivi sociali che fanno passare in secondo piano reticenze e paure, ma che non può fare a meno di ascoltare, sentire, osservare, come i cronisti non possono non fare.
La gente che viaggia è solare, eccitata, nel contempo le mascherine abbassate fanno lanciare un allarme automatico: le varianti non conoscono eccezioni, un innocuo colpo di tosse può essere fatale, soprattutto quando gli spazi sono ristretti come i corridoi di una nave o quelli di un treno a lunga percorrenza. Ecco osservare capitani ricordare le buone norme delle mascherine ben inserite durante il passaggio nei corridoi di una nave, il passo che si fa più svelto di fronte a un passeggero che mette la mascherina sotto il naso, bambini guardati a vista, se si ritrovano accanto ad adulti sconosciuti.
Perplessità, paura, caccia all’untore, certamente si, ma anche voglia di divertirsi, una schizofrenia prevedibile, quando a “dimenticare la mascherina” sono, magari, proprio coloro i quali additano Altri che non userebbero le protezioni adeguate.
Paura, paranoia, gomiti timidi senza calorose strette di mano, con tutte le ripercussioni sulle relazioni sociali, quasi “impossibili”, soprattutto in relazione alle conoscenze nuove, imprevedibili, ignote e fonte di fobie giustificate, rese tali da un’epidemia da non prendere assolutamente sotto gamba.
Queste le osservazioni spontanee “catturate” durante il mio viaggio extraRegionale: il Virus ha modificato gli approcci e peggiorato la fiducia negli Altri, questo è innegabile, un dato contingente, quindi rincuorante.
Eppure, sarà proprio così? La risposta potrebbe arrivare proprio dagli stessi spauriti passeggeri, vittime degli untori, e dal loro chiacchericcio udibile a distanza, seduti alla reception di una comune nave nazionale. “La gente oggi non sa ascoltare, anche sentire. Ci vorrebbe uno psicologo per ciascuno”. Allora che ruolo avrebbe la pandemia? Fino a che punto definire gli Altri minacciosi, inaffidabili, non amichevoli, solo ed esclusivamente a causa di un Virus?
Forse le parole di quel chiacchericcio dovrebbero spingerci a un cambiamento ben meno contingente e duraturo: aprire le orecchie, regalare altruismo, affinché la relazione sociale si instauri.
Forse la minaccia più seria è l’incapacità profonda di ascoltare l’Altro, un Altro che non potrà quindi af-fidarsi, soverchiato dal bisogno logorroico di ostentazione del Sé del suo interlocutore? Su questo dovremmo interrogarci, perché a questa originaria incapacità empatica difficilmente troveremo, anche in un tempo lontano, un vaccino davvero efficace.