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Ma quale crisi economica e monetaria americana! La vera crisi si sta abbattendo su Francia, Germania e Regno Unito

In questi giorni in Italia vanno in scena surreali analisi sulla situazione economica e monetaria degli Stati Uniti d’America. Gli analisti finanziari più ‘intelligenti’ dicono che gli USA potrebbero addirittura fallire. In queste considerazioni un po’ farlocche ci sono almeno due elementi strani. La prima stranezza si condensa in una domanda: come mai questi ‘economisti’ spuntano proprio ora che l’America di Donald Trump sta incassando una barca di soldi con i dazi doganali e non sono spuntati prima, quando alla Casa Bianca c’erano i Democratici di Joe Biden, che sono i veri responsabili del deficit di Bilancio e, in buona parte, del debito pubblico americano? Seconda stranezza: se l’America è a rischio fallimento come mai tanti Paesi del mondo fanno a gara per esportare le proprie produzioni in questo Paese? Due stranezze, due cretinaggini stratosferiche.

Certo, il debito pubblico americano, a fine Luglio di quest’anno, si è attestato intorno a 36,9 trilioni di dollari, rappresentando circa il 124,3% del Prodotto Interno Lordo (PIL). Questo sarebbe un grande problema se gli USA non fossero la prima economia del mondo e la più grande potenza militare e nucleare del mondo. Chi si lascia andare a queste analisi catastrofiche sull’economia americana o non conosce nemmeno i ‘fondamentali’ dell’economia e della geopolitica (cosa molto improbabile), o sta provando disperatamente a salvare il sistema economico neo-liberista e globalista che il presidente Trump sta piano piano smantellando (tesi molto probabile).

Un’altra stupidaggine che leggiamo e sentiamo qua e là è che la Cina, detenendo buona parte del debito pubblico americano, tiene sotto ricatto gli USA. Ebbene, questa è la terza cretinaggine. Ricordiamo che America e Cina hanno raggiunto un accordo sui dazi. Un’intesa che sarebbe stata siglata – sempre stando a certi ‘analisti’ – perché la Cina ha bisogno del mercato americano, perché non saprebbe dove esportare la gran massa di beni che produce; mentre l’America non può fare a meno delle terre rare della Cina, primo produttore al mondo delle citate terre rare, indispensabili per le cosiddette tecnologie moderne come smartphone, computer, batterie, televisori, turbine eoliche, auto elettriche e apparecchiature mediche. Questa tesi è vera solo in parte. I territori degli USA e degli altri Paesi occidentali non sono carenti di terre rare; il problema è che non hanno mai investito in questo settore perché le lavorazioni per arrivare ai citati prodotti con particolari proprietà chimiche e fisiche uniche sono molto inquinanti. Ma ora Trump sta cambiando registro, perché non vuole che il suo Paese dipenda dall’estero per i magneti permanenti, per i LED, per le fibre ottiche, per i laser e via continuando con le tecnologie moderne.

Semmai è la Cina ad essere in difficoltà, se è vero che, da qualche anno, non rende noti i dati sull’occupazione. Tanto che si sussurra che in Cina la disoccupazione giovanile superi il 50%. Il momento storico, per Xi Jinping, è difficile: sa che con la fine della globalizzazione economica dovrà ridurre drasticamente le esportazioni e puntare sui consumi interni. Ma ora è in grande difficoltà, perché l’aver ‘usato’ il sistema economico globalista impostando l’economia sull’export ha provocato distorsioni nel sistema produttivo interno: da qui il citato aumento della disoccupazione. Questo è un grande problema per il Governo comunista cinese, perché per rilanciare i consumi interni serve una domanda interna, ovvero servono consumatori con i soldi in tasca. Ma con la disoccupazione alle stelle, specie quella giovanile, l’economia cinese rischia di andare in tilt. Siccome i tempi sono stretti, la Cina dovrà optare per qualcosa di simile al cosiddetto Helicopter Money (qui un articolo: https://it.wikipedia.org/wiki/Helicopter_money), ovvero denaro distribuito direttamente nelle tasche dei cittadini. Ma un’iniziativa del genere, in un Paese di un miliardo e mezzo di abitanti, avrebbe costi notevoli.

Quanto scritto ci dice che, se l’economia americana sconta qualche problema, l’economia cinese non è affatto messa meglio. La verità è che gli osservatori di fatti economici europei, invece di preoccuparsi dell’economia USA, che andrà sempre meglio dopo che avrà portato sotto il controllo dello Stato la Banca Centrale americana (leggere Federal Reserve System abbreviato in FED), si dovrebbero invece preoccupare dei Paesi del Vecchio Continente. Il Paese più in difficoltà è la Francia, che si ritrova con un debito pubblico di quasi 3 mila miliardi e 400 milioni di euro, ovvero più altro di quello italiano che ha di poco superato i 3 mila miliardi di euro. Ma a differenza dell’Italia, dove i Governi hanno massacrato i cittadini con basse retribuzioni, tagli alla scuola pubblica e alla sanità pubblica, età pensionabile a quasi 68 anni e inflazione nascosta, in Francia i cittadini non sono abituati a soffrire. Il Governo di minoranza di Francois Bayrou si accinge a presentare una manovra con tagli da 40 miliardi di euro che il Parlamento francese, il prossimo 8 Settembre, dovrebbe respingere. Né la destra di Marine Le Pen, né la sinistra di Jean-Luc Melenchon dovrebbero approvare tagli di 40 miliardi di euro circa. Insomma, a meno di improbabili ripensamenti il Governo Bayrou dovrebbe dimettersi. Chissà perché, nessuno dice che la Francia sta entrando in una grave crisi perché Russia e Cina gli stanno togliendo, ad una ad una, le 14 colonie che i francesi, fino a due anni fa, avevano in Africa. Per la Francia, oltre alle rimesse, stanno venendo meno i metalli a bassissimo prezzo che hanno drenato alle 14 colonie africane, a cominciare dall’uranio, che ha consentito a questo Paese lo sviluppo delle centrali nucleari (e di vendere energia a mezza Europa). In più, in Francia c’è la pressione degli extracomunitari, che è molto forte. Detto questo, non siamo d’accordo con chi dice che la Francia farà la fine dell’Italia. I francesi hanno accettato il pensionamento a 62 anni dopo oltre due mesi di manifestazioni popolari per le strade.

Appena arriveranno i tagli non escludiamo ‘rivoluzioni’ per le strade e l’immediata uscita della Francia dall’Unione europea dell’euro. Il popolo francese – la storia lo insegna – non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
Non va meglio la situazione economica in Germania. L’economia tedesca è entrata in crisi per la dabbenaggine economica di chi l’ha governata negli ultimi 25 anni. Impostare l’economia sull’export all’infinito in un mondo finito è tipico di chi ha un pessimo rapporto con l’economia. La parziale chiusura del mercato americano voluta dal presidente Trump ha accelerato una crisi che era già in corso. Per ora la Germania tiene perché, grazie all’euro, ha drenato risorse ai Paesi dell’Europa mediterranea. Ma oggi la crisi, per la Germania, è verticale, perché ha difficoltà a vendere i propri prodotti non soltanto negli USA ma anche nell’Unione europea, proprio perché, in buona parte, ha depredato i Paesi europei che acquistavano i beni tedeschi, a cominciare dalle costose auto tedesche. I dati economici della Germania non sono drammatici sia perché questo Paese, come già accennato, ha tolto risorse ad altri Paesi europei, sia perché ha già contratto un debito di mille miliardi di euro con i quali sta tenendo in piedi l’economia. Il PIL tedesco non è crollato e la decrescita non è ancora a due cifre. Anche se, per la prima volta dagli inizi degli anni 2000, l’economia della Germania si è contratta per due anni consecutivi. In questo caos il Governo tedesco continua a inviare soldi all’Ucraina ma si accinge a tagliare pensioni e sussidi.

Brutta la situazione anche per il Governo britannico. L’economia non brilla, ma deve sopportare i costi della guerra in Ucraina e del continuo assalto dei migranti. In Italia i cittadini vengono tenuti all’oscuro dei costi per mantenere i tanti migranti presenti, con riferimento non soltanto ai costi dei centri di accoglienza per i migranti che arrivano dal Mediterraneo e dalla rotta balcanica, ma anche ai costi per mantenere l’enorme numero di profughi arrivati dall’Ucraina. Non è così nel Regno Unito dove l’informazione è sacra, anche se sgradita al potere, e dove è in corso una rivolta delle amministrazioni locali, che non vogliono più migranti negli Hotel e nei propri territori. A capeggiare questa rivolta e Nigel Farage, che guadagna proseliti ovunque. Questo spiega perché i conservatori, per non dare spazio a Farage, si sono messi a cavalcare anche loro la rivolta anti-migranti. Un problema per i laburisti dell’attuale premier, Keir Starmer, che vorrebbe varare una nuova tassa sugli immobili per acciuffare tra i 30 e i 40 miliardi di sterline da portare nelle casse del Tesoro. Per fare che?, chiedono i cittadini in rivolta. Per i migranti? A queste proteste si aggiunge l’aumento vertiginoso dei prezzi immobiliari, con famiglie e pensionati a basso reddito che si trovano ad abitare in case di grande valore. Anche in questo caso, si nota la differenza con l’Italia. Nel Belpaese si sta facendo di tutto per isolare la Magistratura inquirente milanese che ha scoperchiato gli imbrogli urbanistici del Comune ‘di sinistra’ che, di fatto, ha provato a costruire una città per ricchi, cacciando via quello che un tempo si definiva il proletariato. Non è così a Londra e dintorni dove la gente è incazzata nera e non ne vuole sapere di impoverirsi, specie se tanti soldi finiscono per foraggiare i migranti e chi specula su questi ultimi.

Giulio Ambrosetti

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