Le notizie che riguardano la cerealicoltura sono due, solo apparentemente slegate. La più importante arriva dalla Sicilia dove tanti agricoltori, quest’anno, non semineranno il grano duro. Motivo: i costi di produzione sono alti, mentre il prezzo del grano duro è precipitato ai minimi storici: 18-20 euro al quintale. La notizia meno importante, sia perché in parte è stata travisata, sia perché interessa gli industriali e non gli agricoltori, arriva dagli Stati Uniti d’America, dove il Dipartimento del Commercio di questo Paese, dopo un’accurata analisi durata oltre un anno, è arrivata alla conclusione che alcune marche di pasta italiana vendono negli USA il proprio prodotto sottocosto: da qui la decisione di introdurre dazi doganali alla pasta prodotta in Italia, che arriverebbero al 107%. Il condizionale è d’obbligo perché i dazi verrebbero applicati a partire dall’1 Gennaio 2026 per fronteggiare la pasta italiana che, secondo gli americani, verrebbe venduta negli USA in regime di dumping. E’ probabile che quello lanciato dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti sia un messaggio, una sorta di avvertimento per cominciare a fare un po’ di chiarezza sulla pasta che gli italiani spediscono negli USA. Una vicenda che si lega a doppio filo al settore del grano duro prodotto in Italia oggi in profonda crisi. Andiamo con ordine. Cominciamo dal grano duro in Sicilia.
La premessa è che la legge italiana stabilisce che, nel nostro Paese, la pasta si può produrre solo con grano duro, ad eccezione di alcuni tipi di pasta che si possono produrre con grani dove il glutine (leggere proteine) viene sostituito dall’uovo. Nella nostra Isola coltivare il grano duro è diventato diseconomico. Mettere a coltura un ettaro di grano duro costa circa mille e 500 euro. In media, la produzione si attesta tra 27 e 30 quintali di grano duro per ettaro. Considerando una produzione di 30 quintali di grano duro per ettaro e un prezzo di 24 euro al quintale, l’agricoltore siciliano spende mille e 500 euro per incassare 720 euro. Tenendo conto anche dell’integrazione comunitaria, che peraltro è bassa, si lavora in perdita. In questi anni alcuni agricoltori siciliani hanno provato ad abbassare i costi riducendo al minimo le lavorazioni del terreno ed eliminando la concimazione azotata in pre-semina. Ma non si risolve il problema, perché i costi restano superiori ai ricavi e ai guadagni. Tra l’altro, eliminando la concimazione in pre-semina, la produzione si abbassa e si riducono ricavi e guadagni. Se poi arrivano i problemi legati al clima, che ormai sono una costante, la produzione si riduce ulteriormente. Insomma, meglio non coltivare grano duro in attesa di tempi migliori. Per la cronaca, la Sicilia è la seconda Regione italiana per produzione di grano duro con 260-270 mila ettari contro gli oltre 300 mila ettari di qualche anno fa.
La prima Regione è la Puglia con circa 350-360 mila ettari coltivati a grano duro. La terza Regione è la Basilicata con circa 115 mila ettari coltivati a grano duro.
Perché il prezzo del grano duro è così basso? Semplice: perché l’Italia, ogni anno, importa grandi quantitativi di grano duro estero. E’ l’inesorabile legge della domanda e dell’offerta: se aumenta l’offerta di un bene il prezzo di abbassa. Nel 20024 l’Italia ha importato quasi 3 milioni di tonnellate di grano duro (dato tratto da AI Overview di Google). Per quest’anno non ci sono ancora i dati precisi sulle importazioni di grano duro. Si sa che, nei primi quattro mesi di questo 2025 il nostro Paese ha importato un milione di tonnellate di grano duro con un aumento di oltre il 26% rispetto al 2024. Non è esagerato stimare che alla fine di quest’anno l’import di grano duro in Italia superi i 3 milioni di tonnellate dello scorso anno. Sempre nel 2024 la produzione di grano duro in Italia si è attestata intorno a 3 milioni e mezzo di quintali. Quest’anno la produzione di grano duro in Italia, stando sempre alle notizie che si possono leggere su AI Overview di Google, ha sfiorato i 4,3-4,4 milioni di tonnellate. L’aumento, rispetto al 2023, sarebbe il frutto di migliori condizioni climatiche e di un aumento delle superfici coltivate a grano. Questi dati riflettono la realtà? I dubbi sono più che legittimi. Perché l’aumento di superficie a grano duro non può riguardare il Sud Italia e la Sicilia, dove, al contrario, la superficie coltivata a grano duro è in diminuzione a causa dei prezzi bassi del prodotto e della pressione, fortissima, della speculazione del fotovoltaico, che punta a trasformare i campi di grano duro del Mezzogiorno d’Italia in immense distese di pannelli fotovoltaici: cosa che sta già avvenendo. Quindi, ammesso che l’aumento di superficie a grano duro sia una notizia vera, tale aumento deve per forza di cose riguardare il Centro Nord Italia e, segnatamente, Emilia Romagna e Toscana. Ma in queste due regioni, negli ultimi due anni, non sono mancate le piogge che, di solito, quando provocano inondazioni, si ‘mangiano’ le colture, compreso il grano. Per dirla in breve, l’aumento, in Italia, di superfici coltivate a grano duro e l’aumento di produzione di grano duro sono notizie quanto meno strane, che cozzano con la realtà.
Andiamo alla pasta che, ribadiamo, in Italia si può produrre solo con il grano duro. Anche i dati ufficiali sulla produzione di pasta vanno presi con le pinze. La stima è che, per la produzione di pasta, le industrie italiane impieghino circa 6,5 milioni di tonnellate di grano duro ogni anno. Circa 4 milioni di tonnellate di pasta verrebbero prodotte con grano duro italiano, mentre 2,5 milioni di tonnellate di pasta verrebbero prodotte con grano duro estero. Siamo certi che questi ‘numeri’ siano esatti? Siamo sicuri che la produzione di grano duro italiano non sia inferiore a 4 milioni di tonnellate e che, invece, il grano duro importato non sia superiore a quanto raccontano i dati ufficiali? Non solo. Si dà per scontato che le industrie della pasta non miscelino grano duro italiano e grano duro estero: cosa assolutamente auspicabile. Anche se il dubbio, anche in questo caso, è legittimo. Dopo di che c’è un problema: se, come racconta la televisione, tutti i derivati del grano, compresa la pasta, in Italia sono prodotti con grano duro italiano e se tutta la pasta prodotta in Italia ed esportata viene prodotta con grano duro italiano che fine fa il fiume di grano duro estero che arriva in Italia? Non è una domanda di poco conto perché, come abbiamo cercato di illustrare, è la presenza massiccia di grano duro estero che, anche quest’anno, ha fatto precipitare il prezzo del grano duro: 19-20 euro/quintale in Sicilia e 25-26 euro/quintale in Puglia.
Gli americani non sono stupidi: anzi. Hanno cominciato a sollevare il problema tirando in ballo la questione dumping, ovvero le industrie italiane che venderebbero nel mercato USA pasta sottocosto. Con molta probabilità, la questione è molto più complessa e non si può escludere che riguardi anche la qualità della pasta prodotta in Italia. Del resto, negli Stati Uniti d’America si coltiva una varietà di grano uro che è tra le migliori del mondo e non si capisce perché l’attuale amministrazione di Donald Trump, che sta smantellando la globalizzazione, non dovrebbe privilegiare la pasta prodotta nel suo Paese rispetto a quella importata. Ma di questo scriveremo in un secondo articolo.
Fine prima puntata/ Continua
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