Per Eurostat siamo tutti più poveri, e lo sono anche i lavoratori a tempo pieno: ma cosa sta accadendo davvero in Italia?

salario (foto ildiariodellavoro.it) - mediaoneonline.it
In Italia aumenta il rischio di povertà anche tra le persone che lavorano a tempo pieno. E’ quanto viene fuori dai dati pubblicati da Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione europea. Chi vuole approfondire questo tema può leggere un articolo dell’ANSA che riassume i dati Eurostat (qui l’articolo: https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/aziende/2025/04/27/eurostat-in-italia-povero-il-9-dei-lavoratori-full-time-_762d0053-6562-4f38-bfe0-5aacb68b5833.html).
Noi proveremo a illustrare quali potrebbero essere i motivi per i quali l’Italia, che fino ai primi anni ’90 del secolo passato era una delle più importanti potenze industriali del mondo, si sia ridotta a Paese che deve fare i conti con la povertà dilagante. E, soprattutto, perché le retribuzioni in Italia sono tra le più basse d’Europa. Cominciamo con un passo dell’articolo dell’ANSA che è molto incisivo ed esplicativo: “In pratica nel nostro Paese ci sono circa cinque milioni di persone che non riescono ad affrontare cinque delle tredici spese contenute in questo indicatore quali avere una casa adeguatamente riscaldata, poter fare almeno una settimana di vacanza, far fronte a spese improvvise, poter fare un pasto con proteine almeno ogni due giorni, avere una connessione internet, avere almeno due paia di scarpe ecc. E’ un dato fortemente legato al reddito ma anche all’andamento dei prezzi”.
Come già accennato, l’Italia è uno dei Paesi del cosiddetto Occidente industrializzato con i salari più bassi. Il problema delle retribuzioni insufficienti riguarda ormai quasi tutti i lavoratori. Ci si chiede perché, nel nostro Paese, solo per citare un esempio, i concorsi per i medici e gli infermieri vadano molto spesso deserti. La motivazione è semplice: le retribuzioni dei medici e degli infermieri che lavorano negli ospedali pubblici italiani sono tra le più basse d’Europa. Così i medici e gli infermieri, soprattutto se giovani, preferiscono andare a lavorare in altri Paesi europei – o anche fuori dall’Europa – dove vengono pagati molto di più e dove rischiano meno.
Già, il rischio, che nel caso dei medici e infermieri pubblici italiani non è altro che il gatto che si morde la coda. Meno medici e meno infermieri operano presso gli ospedali pubblici italiani, maggiore è il carico di lavoro per gli stessi medici e gli stessi infermieri e maggiori sono i rischi, perché chi lavora in condizioni di stress rischia di più. In carenza di medici, in carenza di infermieri e in carenza di posti letto negli ospedali cresce la rabbia dei cittadini-utenti che, invece di prendersela con i politici, che sono i veri responsabili dello sfascio della sanità pubblica italiana, se la prendono con i medici e gli infermieri, che sono anche loro vittime di un sistema sanitario pubblico ormai in ‘corto circuito’.
Il tutto in uno scenario surreale dove impazzano nei media le proposte di associazioni che promuovono richieste di risarcimenti per i casi di malasanità. E’ chiaro che chi lo può fare fugge da questo sistema sanitario: è infatti è anche per questo che medici e infermieri italiani, se possono, vanno a lavorare fuori dall’Italia. In più c’è il paradosso del nuovo contratto dei medici pubblici che la maggioranza dei sindacati contesta giudicando gli aumenti esigui. In effetti, non hanno torto, perché circa 200 euro mensili lordi in media sono veramente pochi, considerato che gli aumenti annui delle retribuzioni dei medici pubblici italiani sono stati bloccati per dieci anni e non c’è stato il pagamento degli arretrati! Detto questo, il Governo nazionale potrebbe applicare il nuovo contratto per legge. Ma finora non l’ha fatto. Risultato: i sindacati proseguono con la loro legittima battaglia sindacale, i medici pubblici non usufruiscono degli aumenti, peraltro minimi, e il Governo si tiene anche questi soldi!
Questa breve digressione sulla sanità pubblica italiana ci dà la misura, purtroppo tragica, delle difficoltà economiche crescenti del nostro Paese. Rispetto alle retribuzioni basse, che in alcuni casi sono, di fatto, espressione di povertà, c’è la proposta delle opposizioni di centrosinistra del cosiddetto “Salario minimo”. Come già ricordato, Eurostat, ‘numeri’ alla mano, ci dice che in Italia aumenta la povertà anche tra le persone che lavorano a tempo pieno: ciò significa che il “Salario minimo” è sacrosanto. Ma, per onestà di cronaca, dobbiamo ricordare che il centrosinistra che oggi chiede l’introduzione del “Salario minimo” è lo stesso schieramento politico che, quando ha governato l’Italia con Matteo Renzi presidente del Consiglio dei Ministri, ha introdotto la precarizzazione del lavoro. O dobbiamo dimenticare che è stato il Governo Renzi a volere il Jobs Act?
La verità, se proprio la dobbiamo raccontare tutta, è che la politica italiana nel suo complesso, con pochissime voci contrarie, ha pensato di risolvere il problema del dumping salariale riducendo i salari e gli oneri a carico delle imprese. I politici italiani, circa un decennio fa, pensavano che per bloccare le cosiddette ‘delocalizzazioni’ – ovvero le imprese che lasciavano l’Italia per aprire stabilimenti nei Paesi esteri, anche europei, dove il costo del lavoro era inferiore – sarebbe stato sufficiente abbassare i salari. E così hanno fatto. Invece di contestare alla radice le follie della globalizzazione dell’economia le hanno ‘inseguite’. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Le basse retribuzioni di medici e infermieri del servizio sanitario pubblico e i salari sempre più bassi non hanno risolto il problema. Che è stato accentuato dall’inflazione, che ha ulteriormente ridotto il potere d’acquisto delle retribuzioni e adesso anche dalla tempesta economica mondiale scatenata dai dazi doganali dell’America di Trump. Oggi la ‘frittata’ è fatta e, come proveremo a illustrare domani, la politica italiana, invece di affrontare il problema inventa polemiche per distrarre i cittadini dai problemi reali.