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Perché Trump e Putin hanno escluso l’Unione europea dal vertice in Alaska? Interessi economici ma anche il ripudio della cultura woke

In queste ore, nel mondo dell’informazione, è in primo piano l’incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin. Il presidente americano e il presidente della Federazione Russa si vedranno il 15 Agosto, in Alaska, presso la base militare Elmendorf-Richardson ad Anchorage. I temi che verranno affrontato sono due: la fine della guerra in Ucraina e una serie di accordi economici tra America e Russia. Non ci sarà il presidente ucraino, Volodymyr Zelen’skyj, e non ci saranno i rappresentanti dell’Unione europea. Non mancano i ‘mal di pancia’ nel fronte degli esclusi. Zelen’skyj e gli ‘europeisti’ dicono che americani e russi non possono raggiungere un accordo sulle loro teste. Si sopravvalutano? Il quotidiano del Regno Unito, The Telegraph, dà voce alla preoccupazione delle autorità britanniche per i “commenti inutili”. Nel giornale di legge che “Londra è sempre più preoccupata dalle dichiarazioni pubbliche di figure come Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Kaja Kallas. I britannici temono che avanzare richieste pubbliche al presidente degli Stati Uniti possa avere conseguenze spiacevoli e portare a un suo allontanamento totale dell’Europa dai negoziati”.

Gli inglesi cercano di far capire ai governanti dell’Unione europea che, in questa fase, irritare Trump può solo peggiorare la situazione. Non sfugge agli osservatori che i rapporti tra l’attuale presidente USA e gli ‘europeisti’ non sono particolarmente idilliaci. Se n’è avuta prova qualche settimana fa, quando Trump, di fatto, ha imposto alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, accordi economici piuttosto penalizzanti per l’Ue. Chi ha seguito il dibattito che ha preceduto la firma degli accordi fra Trump e la von der Leyen, ricorderà che in Italia si diceva che i dazi doganali del 15% sarebbero stati rovinosi per l’economia italiana e bla bla bla. Dopo di che è arrivato il silenzio italiano e, in generale, europeo. Ma non è ancora finita, perché il presidente americano aspetta dai Paesi Ue gli acquisti di petrolio e gas liquido e gli investimenti europei negli USA. Se l’Unione europea non rispetterà tali accordi i dazi statunitensi potrebbero arrivare al 30% e, magari, al 50%.

La domanda è: perché gli Stati Uniti sotto la presidenza Trump si sono così irrigiditi verso l’Ue? Ci sono sicuramente questioni economiche. Nel programma di Trump c’è lo smantellamento della globalizzazione economica che comporta, tra le varie cose, anche la riduzione, se non l’eliminazione, del deficit federale. Gli americani, e non da ora, contestano alla Germania di avere esagerato nell’esportazione di beni negli USA. Gli avvertimenti americani ai tedeschi, mettiamola così, risalgono già agli anni in cui alla Casa Bianca c’era Barack Obama, con il Governo tedesco retto dalla Cancelliera Angela Merkel. Come ricordiamo spesso, il surplus commerciale Ue verso gli USA, nel 2024, si è chiuso con quasi 200 miliardi di euro in favore dell’Unione europea. Cosa, questa, che a Trump non va proprio giù, tanto che ha deciso di azzerare il surplus commerciale Ue con i dazi e imponendo agli stessi Paesi dell’Unione di acquistare, come già ricordato, idrocarburi americani.

Sempre in materia economica va segnalato un articolo di The Spectator, settimanale britannico di politica, cultura e attualità. Il periodico punta l’attenzione su un aspetto fino ad oggi non molto ‘gettonato’: lo sviluppo economico dell’Artico. In questa parte del mondo, stando a quanto scrive il settimanale inglese, si concentrano il 13% delle riserve mondiali di petrolio non esplorate e il 30% delle riserve di gas naturale non esplorate. La metà di queste risorse sono controllate dalla Russia. Da qui l’ipotesi che Trump voglia avviare una collaborazione con la Russia per sfruttare queste enormi riserve di idrocarburi. Non c’è nemmeno bisogno di precisare che i rapporti tra la Russia e l’Unione europea sono pessimi. L’Italia, poi, è diventata la capofila della russofobia europea: basti pensare alle manifestazioni culturali di artisti russi annullate, o alle fantasiose ricostruzioni storiche del ‘900 per denigrare la Russia. Figuriamoci se, in quest’atmosfera, i russi si vanno a sedere in un tavolo di trattative con gli europei o, peggio, con gli italiani. Chi lo ha pensato, addirittura proponendo l’incontro tra Trump e Putin a Roma, evidentemente non è stato molto lungimirante, per non dire altro…

Non solo. Sempre per restare ai temi dell’economia, sempre in queste ore c’è chi fa notare la coincidenza fra l’incontro in Alaska fra Trump e Putin e il fatto che i russi stanno piano piano completando la conquista del Dombass, sfruttando un elemento militare non certo secondario: la carenza di soldati e di mercenari, da parte dell’Ucraina, che ha sempre più difficoltà a difendere i propri territori dall’avanzata russa (qui un articolo: https://www.thehour.info/mancano-i-mercenari-e-di-conseguenza-ucraina-e-unione-europea-dovranno-accettare-le-condizioni-che-putin-e-trump-fisseranno-nellincontro-in-alaska-punto/). Il Dombass non è una Regione qualunque, se è vero che è molto ricca di minerali quali, ferro, manganese, titanio, uranio e litio, grafite, terre rare, oltre a gas e petrolio. E’ chiaro che, nell’accordo tra Trump e Putin sull’Ucraina, il Dombass andrà ai russi, con buona pace dell’Unione europea.

Ma c’è un’altra ragione che avvicina Trump e Putin e che allontana l’Unione europea dagli Stati Uniti e dalla Russia. E’ una motivazione culturale e politica insieme. Il presidente americano, pochi giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ha rilasciato una breve dichiarazione molto secca: “I sessi sono due”. Trump, insomma, ha voluto subito prendere le distanze dalla cosiddetta cultura woke, che invece veniva quasi celebrata dalla precedente amministrazione americana dei Democratici. Una chiusura totale verso la cultura woke, a tratti molto invadente. Come dimenticare le polemiche che sono andate in scena un anno fa, in Francia, in occasione delle Olimpiadi estive? Tutte queste storie di uomini che si sentono donne con tutto quello che ne sta conseguendo non vanno a genio all’attuale presidente degli Stati Uniti d’America. In questo Trump è perfettamente in linea con la Russia di Putin, dove certe esagerazioni – che per esempio viviamo in Italia – non esistono. E siccome il Governo dell’Unione europea e alcuni Governi dei Paesi europei hanno abbracciato la cultura woke, ecco che il presidente americano e il presidente russo trovano un altro punto in comune per non ‘mescolarsi’ con l’Unione europea. Per completezza d’informazione, va detto in Europa cresce l’insofferenza verso il woke. Ma è oggettivo che nell’Ue, almeno fino a questo momento, a comandare sia la cultura woke. Per dirla in breve, oltre agli interessi economici, che oggi legano America e Russia, come lo sfruttamento di uranio, titanio e altri minerali presenti in Ucraina, c’è anche un’affinità culturale tra Trump e Putin.

C’è anche una seconda affinità tra i due leader politici mondiali che ci riporta all’economia: Trump, come già ricordato, vuole smantellare il sistema economico globalista e, in questo, Putin è d’accordo con lui. A differenza della Cina, che ha utilizzato a man bassa la globalizzazione economica capitalista, i russi non hanno mai esagerato con le esportazioni. Esportano beni agricoli e industriali ma non hanno mai impostato la propria economia sull’export come predicano gli stolti globalisti. E questo avvicina ancora Trump e Putin e li allontana da un’Unione europea dove a prevalere è ancora la globalizzazione oggi in grande crisi.

Giulio Ambrosetti

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