L’unico modo per tutelare i produttori di grano duro del Sud e della Sicilia e i consumatori è informare correttamente i cittadini sull’origine della pasta
Il post tocca un tasto dolente: la pasta italiana. Se date retta alle promozioni che ci propina la televisione del nostro Paese, la pasta, ci dicono, è “prodotta con grano duro italiano”. La pasta, in Italia, a norma di legge, può essere prodotta solo con grano duro. Le Regioni nelle quali si coltiva il grano duro sono, in netta prevalenza, del Mezzogiorno. In testa c’è la Puglia con quasi 400 mila ettari (in realtà, causa, gli ettari coltivati a grano duro in questa Regione sono in diminuzione per fattori economici e climatici negativi).
Al secondo posto c’è la Sicilia con oltre 300 mila ettari (anche in questo caso gli ettari coltivati sono in diminuzione a causa di una speculazione al ribasso orchestrata da industrie a commercianti). Al terzo posto c’è la Basilicata con circa 175 mila ettari. Al quarto posto ci sarebbe la Campania con 70 mila ettari che, sulla carta, sarebbe insidiata dall’Emilia Romagna, dove la coltura del grano duro è in aumento. Va comunque detto che in Emilia Romagna c’è un problema di alluvioni, non si capisce bene se frutto delle piogge eccessive, o dei terreni mal tenuti, o da entrambe le ragioni. Poi ci sarebbero il Molise e il Lazio con circa 60 mila ettari di grano duro coltivati nell’una e nell’altra Regione; quindi la Sardegna, che dovrebbe essere intorno ai 30 mila ettari coltivati. Seguono altre Regioni.
Questi dati vanno presi con le pinze, perché in Italia le importazioni di grano estero, duro e tenero, sono notevoli, in barba al Made in Italy. Anche sui dati ufficiali bisogna andare molto cauti. Eccoli. Nel 2024, in Italia, sono stati prodotti 3 milioni e mezzo di tonnellate di grano duro, con una riduzione del 15% rispetto all’anno precedente. Mentre le importazioni, sempre di grano duro, si sono attestate un po’ sotto i 3 milioni di tonnellate di euro. Ribadiamo: sono dati da prendere con le pinze, soprattutto sul fronte delle importazioni, che potrebbero essere sottostimate. Se andate a cercare sulla rete da quali Paesi l’Italia importa il grano duro, troverete dati diversi da quelli del post di Foodiverso.
L’unico elemento comune è il Canada, che è il Paese dal quale l’Italia importa più grano duro. Poi troverete Stati Uniti d’America, Francia, Grecia e, in ultimo, la Russia. Noi, invece, concordiamo con l’analisi di Foodiverso, che sottolinea la maggiore presenza di importazioni di grano duro da Turchia, Russia e Ucraina rispetto ad altri Paesi del mondo. Ci permettiamo solo di aggiungere che, stando a quanto abbiamo letto su alcuni blog non italiani, una parte del grano duro che arriva dalla Turchia sarebbe, in realtà, grano russo acquistato dai turchi e rivenduto all’Italia. Come potete notare, sul grano duro il nostro Paese, che ufficialmente fa la voce grossa contro la Russia, avallando le sanzioni, in realtà poi acquista grano duro direttamente e indirettamente dal Paese di Vladimir Putin. Questo, con molta probabilità, manda su tutte le furie il presidente americano Donald Trump, che vuole che i Paesi europei deficitari nella produzione di grano duro acquistino questo cereale dagli USA, ufficialmente per indebolire la Russia affinché fermi la guerra in Ucraina, in pratica perché vuole sostenere le esportazioni dei produttori di grano duro statunitensi.
In ogni caso, un dato è certo: in Italia arriva ogni anno un fiume di grano duro estero. Nei porti del Centro Nord Italia arriva a fiumi il grano tenero estero; nei porti del Sud Italia e in Sicilia arriva a fiumi il grano duro estero. In entrambi i casi con prevalenza del grando canadese tenero e duro. Ma agli italiani e ai cittadini dei Paesi che importano pasta italiana, come sottolinea opportunamente la pagina Facebook di Foodiverso, viene nascosta l’origine del grano duro importato. Come può un Paese che importa quasi la metà del grano duro affermare che tutta la pasta italiana è prodotta con grano duro italiano? Siamo davanti a un’oggettiva presa per i fondelli. Nelle etichette della pasta troviamo le diciture pasta prodotta con grano duro italiano, pasta prodotta con grano duro UE e pasta prodotta con grano duro Non-UE o Extra Ue. Si tratta di diciture che, in realtà, dicono poco o nulla.
Con riferimento al primo caso – pasta prodotta con grano duro italiano – i consumatori dovrebbero essere informati da quale Regione italiana proviene il grano duro: un conto, infatti, è il grano duro che proviene dalle Regioni del Sud e dalla Sicilia, mentre altra e ben diversa cosa è un grano duro coltivato in Emilia Romagna e nelle altre Regioni del Nord Italia, che non sono esattamente luoghi perfetti per la coltivazione del grano duro: anzi! Va peggio per la seconda dicitura – pasta prodotta con grano duro UE – perché i Paesi freddi mal si prestano alla coltivazione del grano duro, che per maturare naturalmente ha bisogno di sole. Con la terza dicitura – pasta prodotta con grano duro Non-UE o Extra Ue – aumentano i dubbi, perché nei Paesi freddi la mancanza di sole impedisce la maturazione naturale del grano e, in questi casi, per far maturare il grano duro artificialmente, si utilizza il glifosato il pre-raccolta, cioè prima della raccolta. Il glifosato, per la cronaca, è un erbicida che va utilizzato in pre-semina, cioè prima della semina, per impedire o ridurre la nascita di erbe infestanti. In questo caso tale erbicida, che è un veleno, rimane nel terreno. Non è il massimo, ma oggi l’agricoltura impone l’uso di erbicidi e pesticidi, perché ancora è impossibile produrre con l’agricoltura biologica tutte le produzioni agricole, perché si avrebbe una forte riduzione delle produzioni e mezzo mondo verrebbe ridotto alla fame. Disastroso, invece, l’uso del glifosato in pre-raccolta, che lascia residui di glifosato nel grano, con grave nocumento per la salute pubblica, come ha stabilito una ricerca dell’Istituto Ramazzini di Bologna (qui un articolo: https://www.lifegate.it/glifosato-cancerogeno-studio-ramazzini) (puoi allegare anche il nostro articolo sullo studio dell’Istituto Ramazzini). Residui di glifosato che, poi, si trasferiscono nel grano e nei derivati del grano. Questa è la dimostrazione del perché la legge che regola le diciture del grano duro con il quale viene prodotta la pasta è sbagliata. I consumatori hanno diritto a conoscere non una generica area di provenienza del grano duro, ma il Paese di provenienza del grano duro. Di fatto, assistiamo a una forma di disinformazione voluta che non aiuta i cittadini a districarsi nel mondo della pasta e, in generale, nel mondo dei derivati del grano duro ma aiuta solo le industrie. Sotto questo profilo l’Unione europea danneggia la verità e non informa correttamente i cittadini.
Questa informazione opaca sull’origine vera della pasta e del grano duro con il quale viene prodotta la stessa pasta fa il paio con la speculazione in danno del grano duro del Mezzogiorno d’Italia e, in particolare, della Sicilia. Semplificando al massimo, facendo ricorso a tutte le operazioni colturali che occorrono per la coltivazione del grano duro, dalla semina alla raccolta, il costo di produzione dello stesso grano duro si attesta intorno a 50 euro per quintale. Quando in Sicilia un quintale di grano duro viene pagato agli agricoltori 20-22 euro al quintale, è chiaro che è in corso un’operazione per mantellare il grano duro della nostra Isola, perché non si può produrre in perdita. In verità il disegno politico dell’Unione europea è proprio questo: smantellamento del grano duro siciliano da sostituire con immense distese di pannelli fotovoltaici. In Puglia la situazione va un po’ meglio, con il grano duro che viene pagato al prezzo di 27-28 euro al quintale. Anche in questo caso si lavora in perdita. Idem nelle altre Regioni italiane.
Perché il pezzo del grano è così basso? Nel complesso, i prezzi del grano duro sono in ribasso in tutto il Mezzogiorno d’Italia. Ed è anche logico: se venti giorni prima della mietitrebbiatura nei porti del Sud e della Sicilia arrivano navi cariche di grano duro estero, beh, il prezzo del grano duo meridionale e siciliano non può che crollare. La dimostrazione quasi matematica che alla Commissione europea di Ursula von der Leyen, al Governo nazionale di Giorgia Meloni e alle amministrazioni delle Regioni meridionali e della Sicilia del grano duro non gliene può fregare di meno. Tutta la politica, da Bruxelles a Palermo, passando per Roma, sta provando in tutti i modi ad affossare il grano duro del Sud Italia e della Sicilia. Commissione europea e Governo nazionale, con gli amministratori delle Regioni del Sud Italia e della Sicilia che fanno i pesci dentro i barili, come già accennato, stanno provando in tutti i modi a far crescere la produzione dell’energia fotovoltaica a spese del grano duro. Al massimo ci sono fondi pubblici che possono essere intercettati dai grandi produttori, a scapito della piccola proprietà contadina che, nella Prima Repubblica, la Democrazia Cristiana ha difeso a spada tratta. In Sicilia la stessa DC rifondata da Totò Cuffaro non sembra molto interessata a difendere il grano duro della nostra Isola. Così torniamo al raggiro ai danni dei cittadini italiani e anche dei cittadini esteri. Come giustamente scrive la pagina Facebook di Foodiverso, quanti cittadini italiani acquisterebbero la pasta prodotta con grano duro canadese, con grano uro turco, non grano duro russo e con grano duro ucraino? Lo stesso discorso vale per i cittadini di altri Paesi del mondo. E allora? Basta non specificare la provenienza del grano duro e dare un’indicazione generica. A questo punto non resta che provare a informare i consumatori, come raccomanda Foodiverso. Attenzione alla pasta che acquistate.
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