Riduzione entrate IRPEF: perché il Governo siciliano non applica la delibera di Giunta 197 del 2018? C’è anche l’articolo 37 dello Statuto

Schifani “Stiamo ricostruendo un Paese e una Sicilia che dicono no alla Mafia”

Com’era prevedibile, la Regione siciliana registra un calo delle entrate legate all’IRPF. Se diminuiscono le entrate, questo va da sé, significa che l’economia è in affanno. Il problema non riguarda solo la nostra Isola ma tutta l’Italia. Tra il cervellotico ‘Patto di stabilità’ che, a quanto pare, solo la Germania, nell’Unione europea, può ignorare, dazi doganali dell’America di Donald Trump e sostegno senza fine all’Ucraina, beh, le ‘casse’ del Belpaese, piano piano, non possono che svuotarsi. Ricordiamoci che proprio in questi giorni l’Italia ha approvato l’undicesimo pacchetto di aiuti all’Ucraina: sono soldi che vengono tolti dalle tasche degli italiani per acquistare armi per il Paese di Volodymyr Zelen’skyj. Proprio in queste ore il capo del Governo italiano, Giorgia Meloni, ha detto che l’Italia continuerà a sostenere l’Ucraina. Ovviamente, questo sostegno non è gratuito. E’ in questo scenario, come abbiamo letto qua e là, che si “apre la partita” tra Roma e la Sicilia per fronteggiare le minori entrate IRPEF della Regione. Questa singolare “partita” ci lascia un po’ perplessi. Proviamo a illustrare il perché.

La memoria ritorna al 15 Maggio del 2018. Per la Sicilia il 15 Maggio è una data importante, perché è la festa dell’Autonomia siciliana. Ebbene, nel 15 Maggio di sei anni fa giungeva notizia di una delibera di Giunta per certi versi straordinaria. Il Governo siciliano dell’epoca, retto allora da Nello Musumeci, aveva preso manzonianamente il coraggio tra le mani e aveva deciso di fare chiarezza sui rapporti finanziari tra il Governo nazionale e il Governo siciliano. Notizia importantissima, perché nel 2015 e nel 2016 il Governo nazionale di centrosinistra e il Governo regionale siciliano, sempre di centrosinistra, avevano letteralmente terremotato i conti della Regione, cancellando dal Bilancio della Regione oltre 6 miliardi di euro di crediti (all’inizio, presi dall’estasi della foga, avevano cancellato addirittura 10 miliardi di euro, per poi fare marcia indietro fermandosi, bontà loro, a 6 miliardi e rotti) e approvando con un doppio voto – voto del Parlamento nazionale e voto dell’Assemblea regionale siciliana – le norme di attuazione dell’articolo 36 dello Statuto. Le norme di attuazione dell’articolo 36 dello Statuto autonomistico siciliano erano rimaste ‘sospese’ sin dalla nascita dell’Autonomia. Nemmeno nei primi anni ’60 del secolo passato, tempo di grandi riforme promosse dai primi Governi romani di centrosinistra, si era pensato di approvare queste benedette norme di attuazione. A norma dello Statuto siciliano tutte le imposte maturate in Sicilia sono di competenza della Regione. Invece già da allora Roma si teneva una parte delle imposte siciliane. E i politici della nostra Isola, Governo e Assemblea regionale siciliana? Facevano finta di non vedere…

Nel 2016 la politica decide di mettere mano alle norme di attuazione dell’articolo 36 dello Statuto. Parlamento nazionale e Parlamento siciliano decidono, in primo luogo, di ‘sanare’ il pregresso. Come già accennato, lo Stato, ignorando lo Statuto, si teneva una parte delle imposte che sarebbero dovute restare in Sicilia. Si decide, così, di chiudere con il passato. Come? Con la regola ‘aurea’ di una celebre canzone napoletana: “Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdámmoce ‘o ppassato, simmo \’e Napule paisá!”. Solo che eravamo e siamo in Sicilia. Con la scusa che abbiamo fatto parte del Regno delle Due Sicilie – e quindi dipendevamo da Napoli – e che ancora oggi in alcuni quartieri popolari di Palermo si parla e soprattutto si canta in lingua napoletana con tanto di cantanti melodici napoletani, Roma, nel 2016 decise di chiudere le ‘partite finanziarie pregresse’ Stato-Regione all’insegna di Napule paisá! Ironia a parte, c’era la questione del futuro: e qui viene il bello.

Come già accennato, tutte le imposte maturate in Sicilia, stando allo Statuto autonomistico, spettano alla Regione. Invece si decide che la Regione siciliana si tiene il 3,64 decimi di IVA e il 7,10 decimi di IRPEF; il resto se lo incamera lo Stato. Si poteva fare? Non siamo giuristi. Sui libri c’è scritto che lo Statuto siciliano è “costituzionalizzato”. E’ noto che lo Statuto siciliano è stato approvato con un anno e mezzo di anticipo circa rispetto alla Costituzione italiana del 1948. Poi lo Statuto siciliano è finito dentro la Costituzione: “costituzionalizzato”. Con l’approvazione delle norme di attuazione si può stravolgere una previsione statutaria? Non siamo giuristi e non siamo in grado di rispondere. Però, come abbiamo già ricordato, nel 2016, i politici dell’epoca, come si usa dire dalle nostre parti, si misiru u ferru nnarrè a porta (hanno messo il ferro dietro la porta, per i non cultori della lingua siciliana), facendo approvare le norme di attuazione dell’articolo 36 dal Parlamento romano e dall’Assemblea regionale siciliana. Una sorta di rafforzamento: così se un giorno qualche siciliano “di tenace concetto” si dovesse svegliare dal torpore ‘gattopardesco’ per dire: “Tutti ‘sti picciuli ‘nni stati livannu?”, la politica romana avrà buon giorno a rispondere: “E’ stato approvato anche dal Parlamento siciliano!”.

Fatta questa doverosa premessa, torniamo al Maggio del 2018, al coraggio tra le mani dell’allora Governo siciliano. Ecco la delibera di Giunta numero 197: finalmente una corretta regolarizzazione dei rapporti finanziari tra Stato e Regione siciliana. Ma… Ma dopo aver appreso la notizia circa l’esistenza in vita di questa delibera di Giunta, beh, è arrivato il silenzio. Insomma, anche questo documento, frutto del coraggio preso tra le mani, sparisce nelle notti e nelle nebbie. Cosa sarà mai successo? Non l’abbiamo mai capito. Però non tutto è perduto. Gli anni passano ma le ‘carte’ restano. La delibera non dovrebbe essere scomparsa. Siccome, giustamente, l’attuale Governo regionale siciliano di Renato Schifani deve avviare con Roma una discussione sulle minori entrate IRPEF, ebbene, perché non partire dalla delibera della Giunta regionale siciliana numero 197 del 2018? Si potrebbe fare chiarezza non soltanto sull’IRPEF, ma anche sull’IVA. Così, tanto per dire: un decimo di IVA corrisponde a circa 550-600 milioni di euro; mentre un decimo di IRPEF corrisponde a circa 700 milioni di euro.

Poi c’è articolo 37 dello Statuto siciliano. Se vi mettete davanti a un computer, andate su Google e scrivete: “Ires, quanto versa ogni anno alla Regione siciliana Unicredit?”, spunta la seguente scritta: “UniCredit, per il settimo anno consecutivo, ha versato alla Regione siciliana 82,7 milioni di euro di imposte per il 2024, pari al 10% in più rispetto all’anno precedente. Questa somma rappresenta la parte di imposte dovute all’erario, ma maturata in Sicilia, come previsto dalla legge”. Ora, se, per ciò che riguarda l’Imposta sui redditi delle società (Ires), Unicredit versa ogni anno alla Regione siciliana una certa somma – nel 2024 ha versato 82,7 milioni di euro – perché le altre banche con sportelli in Sicilia e sede sociale altrove non dovrebbero fare la stessa cosa? E perché non dovrebbero fare la stessa cosa le assicurazioni e, in generale, le altre imprese con stabilimenti in Sicilia e sede sociale in altre parti d’Italia? La legge è una e si applica per tutti. O no? Il presidente Schifani ne potrebbe parlare con il Ministro delle Regioni, il leghista Roberto Calderoli, che ha promosso la legge sull’Autonomia differenziata. Calderoli, la Lega e tutto il centrodestra hanno approvato una legge che consentirà alla Regioni di trattenere il “residuo fiscale”. Ora se la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna si terranno il “residuo fiscale”, perché la Regione siciliana non dovrebbe applicare l’articolo 37 dello Statuto che meritoriamente Unicredit segue secondo quanto prevede la legge? C’è chi dice che Calderoli, la Lega e il centrodestra (in verità con qualche distinguo in questo schieramento politico) vogliono l’Autonomia differenziata per scippare a Sud e Sicilia 70 miliardi di euro all’anno.

Calderoli, la Lega e il centrodestra in generale dicono che sono soldi delle Regioni del Nord e, secondo il Federalismo fiscale, è giusto che rimangano nelle Regioni del Nord Italia. Se è così, va detto che l’applicazione dell’articolo 37 dello Statuto siciliano, perché di questo stiamo parlando, è perfettamente in linea con l’Autonomia differenziata. Leggiamo insieme l’articolo 37 dello Statuto siciliano: “Per le imprese industriali e commerciali, che hanno la sede centrale fuori del territorio della Regione, ma che in essa hanno stabilimenti ed impianti, nell’accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti ed impianti medesimi. 2. L’imposta, relativa a detta quota, compete alla Regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima”. Noi siamo certi che il Ministro Calderoli, la Lega e tutto il centrodestra sostenitori dell’Autonomia differenziata saranno d’accordo sull’applicazione, da parte della Sicilia, dell’articolo 37 dello Statuto. Non ci possono essere due pesi e due misure. E siamo certi che il Ministro Calderoli, la Lega e il centrodestra sono in buona fede. Il Governo Schifani, che peraltro è di centrodestra, ha una bella occasione per dare modo al Ministro Calderoli, alla Lega e al centrodestra di dimostrare, nei fatti, la loro buona fede.