All’Ars la mozione di sfiducia al Governo di Renato Schifani che nessuno vuole approvare…

di Giulio Ambrosetti
Dopo quasi un anno di politica regionale sonnacchiosa il Parlamento siciliano ha trovato l’occasione per tornare agli onori delle cronache con una mozione di sfiducia al Governo della nostra Isola retto da Renato Schifani, esponente del centrodestra.
A presentare la mozione di sfiducia, che dovrebbe essere votata oggi pomeriggio, sono i 23 deputati di centrosinistra di Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e del deputato Ismaele La Vardera. A questi si aggiungeranno i tre deputati del Movimento Sud chiama Nord di Cateno De Luca, che in tre anni ha più che dimezzato la propria forza in Aula (quattro deputati sono andati via). Fatti quattro conti, la mozione di sfiducia, a meno di colpi di scena, non sarà approvata. Per mandare a casa non soltanto il capo della Giunta regionale Schifani ma tutti i 70 parlamentari di Sala d’Ercole occorrono 36 voti e le opposizioni si fermano a 26. La mozione di sfiducia non è stata presentata per essere approvata: i 70 ‘califfi’ dell’Assemblea regionale siciliana non approverebbero mai una mozione per andare a casa con due anni di anticipo, perdendo l’indennità parlamentare che oggi, dopo la ‘scure’ del Governo di Mario Monti, ‘viaggia’ intorno a 8-10 mila euro al mese. La mozione ha solo un significato politico: l’opposizione punta a fare emergere le divisioni, che ci sono, nello schieramento di centrodestra.
I ‘giochi d’Aula’, ammesso che si materializzeranno, diranno se il Governo Schifani può contare su una maggioranza solida in vista dell’approvazione della manovra economica e finanziaria 2026, o se, come avvenuto già più volte quest’anno, dovrà fare i conti con il dissenso. Proviamo a sintetizzare cosa potrebbe succedere.
Come già accennato, per approvare la mozione di sfiducia che nessuno, in Aula, vuole approvare occorrono 36 voti. Posto che la mozione verrà respinta, va considerato che il voto sarà palese: chi andrà a votare dovrà farlo alla luce del sole.
Ci sembra difficile che qualche deputato di centrodestra, pur essendo critico verso il Governo Schifani, gli voti contro. Detto questo, i deputati del centrodestra critici verso il Governo hanno a disposizione un altro strumento per manifestare il dissenso verso l’attuale esecutivo siciliano: rendersi uccel di bosco, ovvero non partecipare alla votazione. Siamo arrivati al punto della questione: chi, nel centrodestra, è critico verso il Governo Schifani ha la possibilità di manifestare il proprio disaccordo con l’azione dell’attuale esecutivo disertando la votazione.
A questo punto una domanda è quasi d’obbligo: il presidente della Regione Schifani riuscirà a portare a Sala d’Ercole i 44 deputati di centrodestra che, sulla carta, appoggiano il suo Governo?
Se, per ipotesi, oltre ai 26 deputati delle opposizioni dieci parlamentari del centrodestra dovessero disertare l’Aula, ebbene, per il capo della Giunta sarebbe una secca sconfitta. Non andrebbe a casa, perché per porre fine al suo mandato e alla stessa legislatura, come già ricordato, servono 36 voti favorevoli alla mozione di sfiducia. Ma l’eventuale assenza di 10 deputati del centrodestra dalla votazione sarebbe per il presidente Schifani un segnale politico bruttissimo. Ciò posto, arriva la domanda da centro punti: come finirà?
E’ piuttosto improbabile che dieci deputati dell’Ars disertino l’Aula. Ma non è affatto improbabile che qualche segnale per Schifani e per i ‘capi’ del centrodestra siciliano potrebbe anche arrivare: per esempio, l’assenza di tre, quattro, anche cinque deputati. Della serie, vorrei ma non posso ma vorrei… Chi segue, anche distrattamente, le cronache dell’Assemblea regionale siciliana ha già potuto verificare una certa insofferenza dei deputati della maggioranza verso un paio di assessori. Per dirla tutta, da quello che si intuisce, gli assessori Alessandro Dagnino (Economia) e Luca Sammartino (Agricoltura, Pesca e, in parte, la tutela dei boschi siciliani) non sembrano molto ‘gettonati’. E’ probabile che, in queste ore, Schifani abbia cercato di ‘ricucire’ con i dissidenti. Bisognerà capire se riuscirà nel proprio intento. Tenendo conto che, in questo delicato passaggio politico e parlamentare, sullo sfondo, c’è anche la ricandidatura di Schifani alla guida della Sicilia. E lì la questione si complica, perché nel centrodestra siciliano c’è anche un questione generazionale che, fino ad oggi, è rimasta sullo sfondo ma che in quest’occasione potrebbe riemergere. Per dirla in breve, nel centrodestra non mancano i trentenni e i quarantenni che spingono per una svolta, con un candidato diverso da Schifani. Non si tratterebbe di far passare la mozione di sfiducia, ma di lanciare un segnale con la citata assenza, durante la votazione, dei quattro, cinque deputati.
E l’opposizione di centrosinistra? Storicamente, in Sicilia, il centrosinistra non ha mai vinto un’elezione. Tutte le volte che è riuscita a governare la nostra Isola l’ha fatto con ribaltoni e con inchieste giudiziarie sostenute sempre da ribaltonisti. Alla fine degli anni ’50 del secolo passato, con Silvio Milazzo (da qui la formula ‘milazzismo’), ha governato dall’esterno, senza rappresentanza ufficiale in Giunta, grazie a un ribaltone. Nei primi anni ’90 è andata al governo grazie a Tangentopoli e Mafiopoli, sempre con un mezzo ribaltone. Alla fine degli anni ’90 il centrosinistra è andato al Governo della Sicilia grazie agli effetti in Sicilia del ribaltone romano dell’Udeur. Nel 2009 il centrosinistra siciliano è andato al governo con il ribaltone di Raffaele Lombardo e con Confindustria Sicilia di Antonello Montante in ‘poppa’. Le elezioni regionali del 2012 il centrosinistra le ha vinte con Rosario Crocetta grazie a un triplo ribaltone: la candidatura di Gianfranco Miccichè che ha lasciato il centrodestra per candidarsi contro il candidato ufficiale del centrodestra, Nello Musumeci, e l’appoggio di Raffaele Lombardo al centrosinistra. Ma il doppio ribaltone non sarebbe bastato se non fosse intervenuto un terzo ribaltone di alcuni esponenti del centrodestra di Catania e dintorni che, in ‘zona Cesarini’, hanno votato per Crocetta. Tant’è vero che Musumeci, alle regionali siciliane del 2012, ha battuto Crocetta a Palermo e provincia ma ha perso nella ‘sua’ Catania: e sono stati proprio i voti mancanti di Catania che gli hanno fatto perdere le elezioni nel 2012.
Ci sono oggi le condizioni per fare eleggere un presidente della Regione di centrosinistra? C’è l’inchiesta sulla DC di Totò Cuffaro. Ma è una vicenda molto diversa da quella che costrinse lo stesso Cuffaro, nel 2008, a dimettersi dalla presidenza della Regione per aprire la strada al ribaltone del Governo Lombardo. Allora Lombardo e Miccichè godevano ancora di un certo seguito, oggi non sembrano irresistibili dal punto di vista elettorale. Tra l’altro, osservando le elezioni nelle ultime sei Regioni, conti alla mano, l’aumento dell’astensionismo è stato pari all’11%. Ormai, se va bene, votano 4 elettori aventi diritto su 10. In Sicilia il non-voto potrebbe addirittura essere maggiore, perché ci siciliani sono stanchi dell’attuale politica-politicante. Tra l’altro, i soldi sono pochi e senza soldi non si possono organizzare clientele. In questo scenario il centrosinistra non parte certo favorito: anzi. Stando sempre alle ultime elezioni in sei Regioni, e sempre con i numeri alla mano, i grillini sono, sì e no al 5-6%. In Sicilia potrebbero arrivare all’8, forse al 10%. Per vincere il PD avrebbe bisogno di raccogliere almeno il 25%, con i grillini e gli altri eventuali ‘cespugli’ al 20-25%: ma non ci sembra che ci siano questi numeri: anzi.
