Cosa sta succedendo ai giovani? Da cosa nasce la violenza, in alcuni casi efferata come quella di Monreale?

Tre ragazzi uccisi a Monreale a colpi di pistola da altri ragazzi. E altri due feriti. Storie che creano sgomento e incredulità. I protagonisti di questo triplice delitto provengono dallo ZEN di Palermo, quartiere noto alle cronache per il degrado sociale ed economico. In realtà non è proprio così. Nello ZEN 1 il degrado, per fortuna, è un ricordo. Nello ZEN 2, purtroppo, il degrado c’è ancora. Ma si continua a ‘leggere’ questa zona del capoluogo siciliano senza cogliere le differenze all’interno di una comunità: differenze che ci sono. Non solo. Sicuramente senza volerlo, si cerca magari di sottolineare, se non di stigmatizzare, una sorta di specificità di Palermo, quando invece la questione del disagio giovanile è generale. Certo, quando avviene un fatto grave – e quanto avvenuto a Monreale è gravissimo – ci si focalizza sul caso in sé: ed è giusto che sia così: la cronaca, nell’informazione, ha le sue regole. Ma oltre la cronaca, in materia di ragazzi che si perdono, c’è un mondo che andrebbe esaminato con più attenzione. Anche per cercare di cogliere elementi comuni, differenze e specificità.
Casualmente, ieri, sul quotidiano cartaceo La Verità, è stata pubblicata un’intervista con la presidente del Tribunale dei minorenni di Milano, Maria Carla Gatto. Quasi tutti i quotidiani, per fronteggiare l’informazione online, oltre che sulla cronaca, puntano anche sugli approfondimenti. Così alcuni articoli di approfondimento, o le interviste ad ampio respiro, vengono preparati con qualche giorno di anticipo. Tra gli addetti ai lavori vengono definiti articoli ‘freddi’ che non hanno una scadenza precisa, perché non sono legati alla cronaca. La precisazione è importante, perché nell’intervista, che affronta la questione dei reati commessi dai ragazzi e, in generale, dei problemi legati al disagio giovanile, non si parla del triplice delitto di Monreale. Sono, insomma, riflessioni e testimonianze di un giudice che ha una vasta conoscenza di questi fenomeni e che affronta il tema in generale. Un racconto di fatti personaggi e cose non legati alla cronaca dei fatti di Monreale ma che, alla fine, ci possono aiutare a capire come, dove e perché maturano certi episodi di violenza, anche efferati.
Si comincia con i tentati omicidi da parte dei ragazzi. “Allarmante non solo per il numero ma anche per le modalità – dice la presidente del Tribunale dei minorenni di Milano -. Non nascono in situazioni emergenziali. Quei ragazzi vivevano insieme con i genitori. Erano integrati nel tessuto sociale”. Ci sono delitti che nascono in un quartiere difficile. Ma le stesse cose possono avvenire anche in altri contesti. Si racconta del delitto di Garzeno, piccolo centro del Comasco. Qui un diciassettenne ha ucciso un commerciante a coltellate. “La madre – racconta il giudice Maria Carla Gatto – lo accompagnava con l’auto a fare scuola guida. Non parliamo di criminalità organizzata e nemmeno di ragazzi allo sbando”.
Il discorso si sposta su un altro diciassettenne che ha sterminato la propria famiglia dopo una festicciola di compleanno. Interrogato ha detto: “Mi sentivo oppresso”. Anche in questo caso non c’è un legame con il degrado sociale o familiare. Il giudice cita anche il caso di un ragazzo che ha colpito il vicino di casa con una mazza da baseball. Anche in questo caso, nessuna forma di degrado sociale o familiare. “Non c’è più, insomma, quell’automatismo tra reato e emarginazione”. Nell’intervista si parla di Adolescence, una serie televisiva del momento. E’ il racconto dell’imprevedibilità del male. Uno studente di famiglia semplice e onesta che uccide una compagna di classe dopo essere stato dileggiato sui social. L’occasione, per la presidente del Tribunale dei minorenni di Milano, per sottolineare che, talvolta, gli adulti sono presenti ma distratti. “Lo vediamo pure noi – dice – nelle udienze di convalida degli arresti”. E ancora: “I genitori restano ai margini della storia… Sembrano estranei. Appaiono immobili. Si comportano in modo simile agli adolescenti. Non capiscono, fino in fondo cosa sta capitando… non riescono a parlare con i figli, tantomeno ad ascoltarli. Sono smarriti anche loro”.
Nell’intervista si parla dell’aumento del numero delle misure cautelari contro i minorenni. Con due caratteristiche. Prima caratteristica: sono reati che “vengono commessi con violenza gratuita”. Lo sfogo di rabbia è “come se fosse un metodo relazionale. In questa modalità di condotta non conta il vantaggio economico”. Seconda caratteristica: sono reati che, dice il giudice, “vengono commessi insieme ad altri. I ragazzi sono fragili. Il gruppo gli consente di avere una propria identità. Si sentono accettati. Possono arrivare a compiere azioni che da soli non farebbero mai: ad esempio, le violenze sessuali. Il gruppo dei pari è diventato un riferimento importante quasi quanto i genitori”.
Altra questione: i giovani che finiscono in carcere. Con una prevalenza degli extracomunitari sugli italiani. “Lo confermano i dati – dice il presidente del Tribunale dei minorenni di Milano -. L’anno scorso gli ingressi al ‘Beccaria’, l’istituto penale milanese, sono stati 297: di questi, 227 erano giovani stranieri. Sono ormai il 78% della nostra popolazione carceraria. L’87% è di origine islamica. Molti sono minori non accompagnati, senza riferimenti educativi o familiari”.
Poi c’è il grande tema degli anni della pandemia, con i lockdown che non hanno certo migliorato la vita dei ragazzi. Provocando anche rabbia. I ragazzi “si sono isolati sempre di più dal mondo reale, rifugiandosi in quello virtuale”. In quegli anni “di tutto si sono preoccupati – dice ancora la presidente del Tribunale dei minorenni di Milano – meno che dei giovani. Hanno completamente dimenticato le loro esigenze. Tutti in casa, dai bambini ai ragazzi. Hanno chiuso scuole, palestre, parchi. Hanno lasciato un’intera generazione in balia del vuoto, che è stato colmato dai social. Questo ha finito per accentuare il distacco dagli altri. Si può davvero pensare che i ragazzi siano così indifferenti alla vita? Non è soltanto quella degli altri: con i tentativi di omicidio e le violenze. E’ anche la propria: con i suicidi, i disturbi alimentari e l’autolesionismo.
Come se quella stessa vita non dovesse essere salvaguardata. Come se potesse essere schiacciata senza alcun rimorso. E’ una cosa che lascia ancora sgomenti”. Nell’intervista si parla anche degli Hikikomori, termine giapponese che indica chi sta in disparte, “adolescenti isolati dal mondo nato durante il lockdown”. Giovani che quando imperversavano le chiusure se ne stavano “nelle loro stanze con il cellulare come unico mondo per uscire dall’isolamento. Le relazioni non erano più sane. Nessuna possibilità di confronto personale. Tutto veniva filtrato”. Sono state esperienze che hanno lasciato il segno in tutti. E che, in alcuni casi, hanno cambiato le modalità di socializzazione. Maria Carla Gatto ricorda le violenze registrate a Capodanno a Milano. “I gruppi – precisa – si sono incontrati sui social. Quei ragazzi neppure si conoscevano prima di diventare un branco”. (foto archivio)