Dazi doganali USA al 30%: come previsto la trattativa portata avanti dalla Commissione europea per conto di 27 Paesi è stata un fallimento

Per ora è finita male, ma potrebbe anche andare peggio. Per ora la stangata dell’America di Donald Trump all’Unione europea si materializza con dazi doganali al 30% a partire dall’1 Agosto. Ma se al presidente USA gli ‘girano i cabbasisi’, per utilizzare una metafora in lingua siciliana, ad arrivare a dazi del 100% ci vuole poco o nulla. Non per auto-citarci ma si sta verificando quello che abbiamo previsto da quando è iniziata la trattativa commerciale tra Stati Uniti e Ue: e cioè che è impossibile, per la Commissione europea, trattare per conto di 27 Paesi (qui puoi allegare qualche articolo). Perché ogni Paese europeo deve perseguire i propri interessi che non coincidono con gli interessi di altri Paesi. Sarebbe stato più logico far trattare ogni Paese Ue con l’amministrazione americana. Ma si è andati avanti con la linea politicamente ed economicamente ottusa del “tutti per uno e uno per tutti”: e questi sono i risultati.
A complicare ulteriormente lo scenario ci sono altri due problemi. Primo problema gli interessi della Germania, il cui Governo non ha ancora capito, o forse finge di non capire, che gli americani debbono ridurre drasticamente il proprio deficit federale che nel 2024 ha raggiunto circa 2 mima miliardi di dollari. Morale: i tedeschi si debbono mettere in testa che non potranno più portare a casa loro un surplus commerciale con gli USA di circa 80 miliardi di euro all’anno. Secondo problema: l’informazione europea. Che è quasi tutta anti-Trump e che continua a trattare il presidente USA come un personaggio bizzarro, quasi un mezzo matto. Giornali e soprattutto la televisione non illustrano come stanno le cose: e cioè che, con il processo di ‘dedollarizzazione’ in corso guidato dalla Cina, gli Stati Uniti sono costretti a riequilibrare in tempi brevi la propria Bilancia commerciale. Ormai è in corso una guerra economica tra i due colossi mondiali, Cina e USA. Se prima l’America tollerava un alto deficit federale, perché quello che perdeva con la Bilancia commerciale lo riprendeva ‘giocando’ con le speculazioni sul dollaro, oggi non è più così, perché un numero crescente di Paesi alleati della Cina, che fanno capo al BRICS, ha cominciato a commercializzare i propri beni ignorando il dollaro. Non solo. Trump punta a smantellare la globalizzazione e a riportare in America le grandi aziende che negli anni passati hanno delocalizzato, spostando in altri Paesi del mondo i propri stabilimenti. La delocalizzazione ha creato negli USA disoccupazione e aumento della spesa sociale. Il presidente Trump vuole che queste grandi industrie americane tornino a lavorare in America per creare nuova occupazione in America, riducendo nel medio e lungo periodo la spesa sociale. Invito rivolto anche ad imprese estere. Questo significa che Trump non ridurrà i dazi del 50% sull’acciaio, sull’alluminio e sul rame e i dazi del 25% sulle auto. Quest’ultimo punto fa impazzire di rabbia i tedeschi, che non sanno più a chi vendere una parte importante delle proprie auto: ma se ne dovranno fare una ragione. Di più: il presidente USA vuole potenziare l’industria farmaceutica con stabilimenti in America: ciò significa che i Paesi europei dovranno ridurre l’esportazione di farmaci e di presidi sanitari vari negli USA, con riferimento soprattutto a Irlanda, Italia e Germania. Continuare a trattare con ‘sufficienza’ Trump, dipingendolo come ‘cattivo’ e cretinaggini del genere peggiora la situazione.
Già Trump è molto infastidito dall’atteggiamento dell’Unione europea sulla guerra in Ucraina. Alcuni Paesi Ue, dalla Germania all’Inghilterra, dai Paesi dell’Est e del Nord Europa fino all’Italia non hanno fatto altro che ostacolare i tentativi del presidente americano di fermare la guerra in Ucraina. Non è certo un caso che, in queste ore, Trump ha detto che sì, fornirà all’Ucraina i sistemi di difesa Patriot ma a pagarli non sarà più la NATO (cioè in quota parte anche gli Stati Uniti), ma li pagherà per intero l’Unione europea. Un sistema Patriot costa circa un miliardo di euro e poiché i russi non hanno alcuna intenzione di porre fine alla guerra in Ucraina non riusciamo a immaginare quanto costerà ai 500 milioni di cittadini europei il continuo rifornimento di missili Patriot all’Ucraina.
La situazione si sta mettendo male per l’Unione europea. Se Trump va su di giri e appioppa all’Unione europea dazi del 100%, la Ue perde in un colpo solo quasi 200 miliardi di euro di entrate all’anno. Sarebbe un disastro economico e sociale micidiale, con migliaia di aziende grandi e piccole che chiuderebbero i battenti, con uno spaventoso aumento della disoccupazione. Il fenomeno interesserebbe per l’85% tre Paesi dell’Unione europea che incassano ogni anno, per l’appunto, l’85% del surplus commerciale Ue verso gli Stati Uniti d’America: la Germania (80 miliardi di euro di surplus commerciale verso gli USA nel 2024), l’Irlanda (50 miliardi di euro di surplus commerciale verso gli USA nel 2024) e l’Italia (45 miliardi di euro di surplus commerciale verso gli USA nel 2024). La presidente del Consiglio del nostro Paese, Giorgia Meloni, che da sovranista, con un tragicomico ribaltone, in barba agli elettori del suo partito e, in generale, in barba agli elettori del centrodestra, è diventata ‘europeista’, forse avrebbe dovuto impuntarsi per trattative bilaterali – ogni Paese Ue che tratta con l’America per sé – piuttosto che allinearsi alla Commissione Europa che tratta per tutti. Ma ormai la ‘frittata’ è fatta e la Meloni sta dimostrando quanto meno sangue freddo e non sta alimentando lo scontro con Trump.
Incomprensibile, invece, l’atteggiamento delle opposizioni di centrosinistra italiane, che non solo insistono nel sostenere l’errore della trattativa unica della Commissione europea per tutt’e 27 i Paesi Ue, ma continuano a gettare benzina sul fuoco contro Trump. Forse gli esponenti di questi partiti sono convinti che una guerra totale sui dazi tra Ue e l’America indebolirebbe anche questo Paese, che si ritroverebbe senza i prodotti europei e, quindi, con l’esplosione dell’inflazione. Questa tesi è vera solo in minima parte. Questo perché il Paese che ha posto i dazi verso una cinquantina di Paesi non è la Ue ma l’America. Che significa ciò? Semplice: che i beni che gli USA non importerebbero più dall’Europa li farebbero arrivare da altri Paesi, magari riducendo o eliminando i dazi verso tali Paesi.
Questo consiglierebbe maggiore prudenza nel linguaggio, perché, ribadiamo, se a Trump gli gira male e apre la guerra dei dazi con l’Ue al 100%, beh, a farne le spese non sarebbero i politici, che continuerebbero a incassare le loro ricche diarie mensili, ma migliaia di imprese italiane.
Anche la storia che i prodotti agroalimentari italiani sono ‘unici’ è vera fino a un certo punto, perché l’America è piena di imitazioni dei prodotti agroalimentari italiani: si chiamano ‘tarocchi’ e agli americani non gliene frega più di tanto, tant’è vero che non hanno mai intrapreso una lotta senza quartiere ai prodotti agroalimentari finto-italiani. Lo scenario è complesso e bisogna ‘spegnere gli incendi’, non ‘accenderli’. Per la cronaca, a rischiare grosso sono le imprese del Nord Italia, che esportano negli USA la stragrande maggioranza dei prodotti italiani. Per il Sud Italia e la Sicilia, nel caso di dazi americani al 100%, i problemi sarebbero minimi. La nostra Isola, per citare un esempio, esporta in America tanti vini da 3-4 euro a bottiglia: se i dazi resteranno al 30%, il danno sarà quasi ininfluente, perché un consumatore americano non cambia prodotto per una differenza minima di prezzo. Quanto all’olio d’oliva extra vergine italiano, questo si trova soltanto nei negozi gourmet, con prezzi che arrivano anche a 50 dollari a bottiglia di mezzo litro. Nei supermercati popolari statunitensi l’olio d’oliva extra vergine si vende a 4-5 dollari per ogni bottiglia di mezzo litro: considerato che in Sicilia, Calabria e Puglia – le tre Regioni italiane che producono il 90% del vero olio extra vergine di oliva – l’olio d’oliva extra vergine, ‘a bocca di frantoio’, cioè negli oleifici, si vende a 10-11 euro al litro, facciamo un po’ di fatica a pensare che un extra vergine in vendita in America a 9-10 euro al litro sia italiano…
