Famosa come la POMPEI DI SICILIA, è un posto che mette i brividi | Sembra il set di un film americano

le rovine di pompei (foto pexels) - mediaoneonline.it
Si tratta del classico “paese fantasma” che però ha tantissimo da raccontare sulla Sicilia: che emozioni per i turisti
Ci sono luoghi in Sicilia che non compaiono sulle guide turistiche, ma che custodiscono segreti antichi, memorie spezzate e una bellezza decadente che lascia senza fiato. Da brividi. Sono città che hanno subito il peso della storia, il fragore delle bombe e lo scuotimento dei terremoti. Eppure, nonostante tutto, sono lì, vive nei ruderi, nei silenzi e negli sguardi dei pochi abitanti rimasti.
Alcuni di questi posti, pur ridotti a macerie, riescono ad attirare migliaia di turisti affascinati dal mistero, dal passato e dal fascino di ciò che è stato perduto. La Sicilia, terra di civiltà millenarie, è anche questo: rovine sommerse dal tempo, chiese sventrate dalla guerra, interi borghi cancellati dal sisma del Belice o dall’incuria. Ogni pietra racconta una storia e ogni crepa è un ricordo inciso nella carne della terra.
I luoghi più suggestivi sono spesso quelli più difficili da raggiungere. Valli remote, scorci dimenticati, paesi abbandonati che sembrano teatri sospesi. Eppure, proprio lì, si sente ancora la voce dei nonni, l’eco delle processioni, l’odore del pane cotto nei forni antichi. Sono posti in cui il tempo ha deciso di non passare più.
Tra questi luoghi c’è anche chi ha definito la “Pompei di Sicilia” un paese che oggi è diventato un simbolo silenzioso di resilienza e abbandono. Andiamo a scoprirlo, ed a capire perché, una volta dentro, è facile sentire più di un semplice “brivido”.
Il fantasma del Belice
Il posto di cui parliamo si trova all’interno nella Valle del Belice, in provincia di Trapani, nella Sicilia sud-occidentale. Un tempo era un paese fiorente, fondato nel 1642 dal Marchese di Gibellina, Francesco Morso. Ma tutto cambiò il 15 gennaio 1968, quando un violento terremoto rase al suolo il centro abitato. Da allora, è diventato un luogo di memoria, di dolore, ma anche di attrazione turistica, grazie alla sua immagine spettrale e struggente.
Il vecchio paese, ormai ridotto a ruderi, è oggi visitabile come un museo a cielo aperto. Le strade deserte, le case sventrate, le chiese senza tetto: tutto sembra rimasto immobile al momento del sisma. I turisti arrivano qui per respirare quella strana atmosfera di silenzio e malinconia. Molti lo paragonano a Pompei, per il modo in cui la natura e il tempo hanno cristallizzato un’intera comunità.

La Pompei di Sicilia e la nostalgia degli emigrati
Dopo il devastante sisma, la cittadina di cui parliamo, Poggioreale, venne ricostruita a pochi chilometri di distanza, con criteri urbanistici moderni e all’avanguardia. Strade larghe, piazze ampie, edifici pubblici innovativi. Eppure, il cuore pulsante della città non è mai rinato. Da 4.000 abitanti nel 1968, oggi ne restano appena 1.500. La nuova Poggioreale è un luogo dove l’urbanistica ha vinto sull’anima. La piazza Elimo di Paolo Portoghesi, la Cappella di Sant’Antonio di Franco Purini, una piscina pubblica mai aperta… tutto sembra pronto, eppure vuoto. La città è un esempio vivente di modernità incompiuta. Mancano i bambini, le scuole si svuotano, i giovani fuggono verso l’estero, soprattutto in Australia, dove vive una comunità di oltre 300 poggiorealesi attivi, che ancora inviano offerte e mantengono viva la fede in Sant’Antonio da Padova.
Oggi Poggioreale vive di agricoltura e pastorizia. Nella fertile Valle del Belice si coltivano angurie, meloni e vigneti. Gli allevamenti di ovini e bovini sono una delle poche fonti di reddito. Ma la vera linfa arriva da chi è partito e non ha dimenticato. Emigrati che mandano soldi, che tornano d’estate, che tengono viva una fiammella di speranza. Mario Sancetta, giovane assessore ed emigrato di ritorno, racconta che Poggioreale è “un paese tranquillo, anche troppo”. Non nascono più bambini, e la storia sembra essersi trasferita nei ruderi del centro vecchio. Un paese che ha perso la sua anima.