I grillini stanno scomparendo. Si possono salvare? Ci possono provare. Ma debbono rinnegare PD, Unione europea, euro e americani per tornare ad essere rivoluzionari

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Dice l’ex Ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, vecchia guardia del Movimento 5 Stelle, oggi in disaccordo con le scelte di questo soggetto politico: Giuseppe Conte è l’unico segretario di un partito che ha perso tutte le elezioni e rimane in sella. In effetti, se osserviamo i ‘numeri’ è impossibile dare torto a Toninelli: nel 2018, quando già qualche passo falso di alcuni esponenti del Movimento era già nell’aria, i grillini presero oltre 10 milioni di voti, ben oltre il 30%. Appena arrivati nella ‘stanza dei bottoni’ i grillini cominciarono a rimangiarsi, uno dietro l’altro, gli impegni assunti verso gli elettori. Tant’è vero che, un anno dopo, nel 2019, alle elezioni europee, i grillini hanno preso poco più di 4 milioni e mezzo di voti, passando al 17%. Poco più della metà degli elettori che un anno prima avevano votato Movimento 5 Stelle o non si sono recati alle urne, o hanno votato altre forze politiche. Per onestà di cronaca va detto al vertice del Movimento c’era ancora Beppe Grillo, mentre Conte era presidente del Consiglio dei Ministri. Ma da capo dell’esecutivo Conte non stava facendo sognare e ha anche le sue responsabilità. Che si sono accentuate negli anni della pandemia, che per l’Italia è stata un disastro sanitario ed economico. Nessuno ha dimenticato i tanti morti, “tachipirina e vigile attesa”, il Green Pass, i DPCM che limitavano le libertà personali senza passare dal Parlamento, i banchi con le rotelle e via continuando. Lo si è visto alle elezioni politiche del 2022, quando i grillini si sono fermati al 15,6%: grosso modo, un punto e mezzo in meno rispetto alle elezioni europee.

I vertici del Movimento 5 Stelle – e qui siamo arrivati a Conte – si sono sempre rifiutati di analizzare il voto. E il riferimento non è soltanto alle elezioni politiche ed europee, ma anche alle elezioni amministrative. L’unico presidente di Regione targato Movimento 5 Stelle è Alessandra Todde, dopo un’elezione tormentata e non certo esente da ombre. Alla fine, come succede spesso con il centrosinistra, la Magistratura ha lasciato la Todde alla guida della Regione Sardegna. Per inciso, non si può certo dire che la Giunta di centrosinistra della Sardegna, in materia di tutela del paesaggio dagli ‘assalti’ dei ‘Signori delle energie rinnovabili’, sia molto popolare in quest’Isola: anzi! Sardegna a parte, dove i grillini governano ma non incantano, in quasi tutte le altre competizioni amministrative il Movimento 5 Stelle è andato indietro. Parlano sempre i ‘numeri’: alle elezioni europee dello scorso anno i grillini hanno raggranellato meno della metà dei voti alle elezioni politiche del 2022: circa 2 milioni di voti. Gli oltre 10 milioni di voti sono ormai un pallido ricordo.

Ribadiamo: tranne il flebile dibattito suscitato dalle dimissioni di Chiara Appendino da vice presidente del Movimento 5 Stelle, il silenzio è stato e in parte è pressoché totale. Perché si è dimessa l’ex Sindaco di Torino, oggi parlamentare nazionale? Perché a quanto pare non ne può più di fare buon viso a cattivo gioco. E, soprattutto, non ne può più di vedere quello che è stato un Movimento rivoluzionario appiattito su posizioni politiche moderate e perdere voti, perdere voti, perdere voti… Alle ultime elezioni regionali in Calabria, nelle Marche e in Toscana i grillini si collocano fra il 4% e il 5%: in pratica stanno scomparendo. Ma, da quello che si capisce, anche la protesta della Appendino sembra sia rientrata. Sono in arrivo le elezioni regionali della Campania, dove il candidato presidente è un grillino, l’ex presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico. Quindi silenzio per non disturbare i ‘manovratori’. Il problema è che i ‘manovratori’ sono coloro i quali hanno ridotto il Movimento 5 Stelle al 4-5%: il Partito Democratico e i grillini, o presunti tali, fautori dell’accordo con lo stesso Partito Democratico, per non parlare dell’appoggio al Governo di Mario Draghi. Disastri su disastri.

Con le sue dimissioni, anche se tardive, la Appendino ha avuto almeno il merito di aver posto un serio problema politico. Ma in quanti la stanno seguendo? Di fatto, sta prevalendo ancora una volta la linea ‘poltronista’: stiamo zitti che in Campania si vince perché c’è il PD, perché c’è Vincenzo De Luca, il presidente della Regione uscente che avrebbe voluto ricandidarsi. Avrebbe vinto a redini basse, De Luca. Sarebbe bastato approvare una legge per eliminare il limite di due mandati per i presidenti di Regione. Al centrodestra sarebbe andato bene, perché il PD si sarebbe spaccato. Ma una parte del centrodestra doveva sbarazzarsi del presidente uscente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia, un altro che sarebbe stato eletto con il 70% dei voti o giù di lì. Di fatto, il sostanziale ‘siluramento’ di Zaia da parte di alcuni settori del centrodestra ha coinvolto pure De Luca in Campania. I grillini più realisti del re oggi dicono sommessamente: “Teniamoci bassi e prendiamoci la poltrona di presidente della Regione Campania e poi se ne parla”. Danno per scontata la vittoria. Ma forse sono un po’ troppo ottimisti, perché scambiano la forza elettorale di De Luca in Campania, che è notevole e legata al suo indiscusso carisma, con la forza elettorale del PD campano, che senza De Luca si dimezza. Ammesso che De Luca si impegni per l’elezione del grillino Fico e non si impegni solo per raggiungere una posizione di forza nel Consiglio regionale della Campania, va detto che il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione, Edmondo Cirielli, vice Ministro degli Esteri, è molto forte. Cirielli è un esponente di Fratelli d’Italia, partito che, pur governando l’Italia senza brillare, non perde consensi. Insomma, quello che stiamo cercando di dire è che il tatticismo dei grillini potrebbe non portare all’elezione di Fico, perché potrebbe vincere Cirielli; e soprattutto, anche con l’elezione di Fico alla guida della Campania, il Movimento 5 Stelle resterebbe ostaggio non del PD ma di De Luca. E sarebbe un altro disastro politico per i grillini.

Come già accennato, il Movimento, con la guida di Conte, che in termini elettorali si è dimostrata fallimentare, si sono rifiutati e continuano a rifiutarsi di prendere atto che il cosiddetto ‘campo largo’ fino a oggi ha favorito il PD e penalizzato il Movimento 5 Stelle. Non che oggi ‘divorziando’ dal Partito Democratico i grillini guadagnerebbero chissà quali voti, soprattutto se alla guida del Movimento resterebbe Conte. Ma già potrebbe essere un segnale politico importante. Specie senza la guida fallimentare di Conte. Ribadiamo: non sarebbe la soluzione per tornare ad essere un soggetto politico da oltre 10 milioni di voti, se non altro perché i tradimenti dei grillini verso il proprio elettorato sono stati tanti e, in molti casi, veramente brutti. Ma con un altro numero uno – magari un grillino della prima ora che non si è mai compromesso come Alessandro Di Battista – il Movimento potrebbe recuperare voti. E qui arriviamo al punto, al vero punto della questione. Proviamo a sintetizzarlo.

La lenta e inesorabile crisi dei grillini ha coinciso con una crescita di voti del PD. Bene o male, fino alle elezioni europee dello scorso anno, è stato così. Ma ora non è più così, perché alla decrescita dei voti del Movimento 5 Stelle corrisponde solo in minima parte una crescita elettorale del PD. Perché? Per la crescente disaffezione degli italiani verso il voto. Oggi, ormai in quasi tutte le competizioni elettorali, si recano alle urne, quando va bene, 4 elettori su 10. Tanti potenziali elettori grillini non votano più. I dirigenti del PD sanno che, se il Movimento 5 Stelle andrà da solo alle elezioni, lasciando il ‘campo largo’, impegnandosi a non siglare accordi con nessuna forza politica e presentandosi come una forza politica alternativa al centrodestra e al centrosinistra, cambierebbe tutto. Con l’attuale legge elettorale rivincerebbe il centrodestra e, quel che di peggio – ovviamente per il PD – è che i grillini tornerebbero a crescere, facendo tornare alle urne un po’ di elettori che oggi non votano ed erodendo voti allo stesso PD. In questo, per il PD, inutile girarci attorno, Conte è stato strategico: la sua presenza al vertice del Movimento 5 Stelle ha provocato una lenta crisi elettorale di questo soggetto politico, favorendo il PD. Ma oggi, come già sottolineato, non è più così. I grillini stanno scomparendo e il PD non cresce più. Questo, con molta probabilità, spiega il nervosismo del PD e della CGIL, che organizzano scioperi a tutto spiano e attaccano il Governo di Giorgia Meloni un giorno sì e l’altro pure nella speranza di indebolirlo. Ma è una battaglia complicata, perché in un’Italia dove vota il 40% degli aventi diritto al voto, con una legge elettorale che premia chi prende più voti, anche se non supera il 50% dei consensi, è difficile prendere più voti del centrodestra senza i grillini: è difficile con un Movimento 5 Stelle che sta scomparendo stemperandosi nel ‘campo largo’ e diventerebbe impossibile con un Movimento 5 Stelle che manda a quel Paese il PD, l’Unione europea, l’euro, gli americani e via continuando, presentandosi in totale autonomia.