Il ‘divorzio’ tra Trump e Musk: il primo difende i ceti medi e impoveriti, il secondo è un ultra-liberista che ha sbagliato partito. Tutto qui

trump musk

Da giorni nei media imperversa una notizia che viene illustrata, spiegata e commentata in tutte le salse: il ‘divorzio’ politico tra Donald Trump e Elon Musk. Dire che ne abbiamo sentito e letto di tutti i colori è poco. C’è chi, attorno a questa rottura, che è semplicemente politica, ha costruito scenari a tinte fosche, con Musk pronto a fare chissà quali rivelazioni. Su queste ricostruzioni tutte va verificare si sono gettati come falchi i tanti detrattori di Trump, con in testa le ‘vedove’ della globalizzazione economica, sistema economico che l’attuale presidente americano, come del resto aveva promesso in campagna elettorale, sta destrutturando. Ma, al di là delle ricostruzioni fantasiose, confusionarie e, come vedremo, anche un po’ comiche, cerchiamo di illustrare come stanno le cose, partendo da fatti oggettivi, che sono sotto gli occhi di tutti.

Com’è noto, subito dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Trump, Musk è stato messo dal presidente a capo del cosiddetto DOGE, il Dipartimento per l’Efficienza Governativa. Il nume tutelare di Starlink e di X avrebbe dovuto aiutare il Governo federale di Trump a tagliare le spese inutili e improduttive. In effetti, nei quattro mesi che Musk è rimasto accanto a Trump, i tagli ci sono stati. Basti pensare al sostanziale smantellamento dell’USAID, sigla che sta per Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale. L’USAID, secondo i malevoli e i maligni, era considerata una sorta di ‘bancomat’ del Partito Democratico americano.

Questa Agenzia distribuiva, ogni anno, da 40 a 45 miliardi di dollari a circa a 130 Paesi del mondo. Almeno sulla carta era così. Nel 2023, l’anno che ha preceduto la campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane, il budget dell’USAID è stato di oltre 63 miliardi di dollari, lo 0,6% della spesa totale degli Stati Uniti d’America. Una somma enorme. Il ‘DOGE’ dell’amministrazione Trump ha praticamente smantellato buona parte di queste spese, di fatto di difficile controllo. Il tutto con l’avallo del presidente. Quando scriviamo di difficile controllo, ci riferiamo al fatto che questo fiume di denaro viene sì stanziato per gli ‘aiuti’: ma finisce, in buona parte, nelle mani di intermediari che, di certo, non lavorano sempre per la gloria. Musk ha anche ridotto, e in alcuni casi smantellato, altre spese improduttive e clientelari. Ma, a un certo punto…

A un certo punto Musk ha messo il naso nei fondi che non sono destinati alle ONG, all’ONU, ai tanti ‘filantropi’ e perfino ai mezzi d’informazione ‘liberi’ che operavano e operano in parte ancora con i ricchi contributi a fondo perduto. Va precisato, infatti, che i fondi USAID non sono mai stati finanziamenti da restituire ma contributi ‘a babbo morto’, come usiamo dire noi in Sicilia. Insomma, prendi i soldi e scappa! Così, dopo aver tagliato risorse di qua e di là, Musk ha deciso di svolgere un ruolo centrale anche nel Bilancio degli Stati Uniti d’America. E qui sono cominciati i dissensi: dissensi con le alte burocrazie della ‘macchina amministrativa’ americana e dissensi con lo stesso presidente Trump. In un primo momento il presidente ha provato a mediare tra il ‘DOGE’ e le alte burocrazie. C’è riuscito? In parte sì, in parte no. I telefoni tra Trump e Musk si sono rotti quando il capo del Dipartimento per l’Efficienza Governativa ha detto al presidente che, per far quadrare i conti, bisognava licenziare migliaia e migliaia di persone a reddito medio e basso, proprio come fatto in Grecia durante la crisi di quindi anni fa e come sta facendo l’ultra-liberista Javier Gerardo Milei in Argentina. Il problema è che mentre Musk è un ultra-liberista convinto, Trump, come si usa dire oggi in termini dispregiativi, è un populista.

Pur essendo un miliardario e pur avendo dato vita a un Governo federale americano in buona parte composto da ricconi, Trump, sia nel 2016, sia nel 2020, sia alle ultime elezioni presidenziali dello scorso anno, è stato votato in massa dai ceti medi, dai ceti medio bassi impoveriti e dai disoccupati. In una realtà normale e non distopica come quella attuale, Trump, anche se paradossalmente, visto che è un miliardario, sarebbe considerato un leader politico socialista. Ma siccome viviamo ormai in una società orwelliana (leggere il romanzo 1984 di George Orwell), che ha alterato la percezione delle categorie classiche della politica grazie anche a una cultura compromessa, a un’informazione distorta e a ‘quantitativi industriali’ di programmi televisivi-spazzatura, la maggioranza degli abitanti dell’Occidente pensa ormai che la ‘sinistra’ si identifichi non con la difesa dei cittadini più deboli e senza lavoro, ma con la difesa dei protagonisti dei ‘diritti civili’ per lo più rappresentati dai capricci sessuali di una minoranza. Minoranza rispettabilissima, per carità, ma che non può diventare il fulcro della politica di partiti che si definiscono ‘di sinistra’. Così, mentre in America i ceti meno abbienti e meno protetti ormai non votano più il Partito Democratico – che non a caso è il riferimento politico delle miliardarie multinazionali – ma votano Trump, nell’Unione europea i Socialisti, passati armi e bagagli al servizio permanente ed effettivo del sistema ultra-liberista e globalista, perdono consensi ovunque.

E’ su questo terreno che si è consumato lo scontro fra Trump e Musk. L’ormai ex ‘DOGE’, oltre a voler imporre licenziamenti a tempesta tra i ceti medi e medio bassi, avrebbe voluto pure ridurre drasticamente l’assistenza sanitaria gratuita, che oggi in America è assicurata ai poveri, agli ultra sessantenni e ai veterani delle tante guerre americane. Il “No” di Trump è stato secco. Ed è stato un “No” alla luce del sole. Il liberista Musk non ne voleva sapere di un’America che, nei prossimi dieci anni, si indebiterà per altri 2 mila miliardi di dollari. Trump ha provato a convincere Musk che non ci sarà un ulteriore indebitamento, perché conta di azzerare, o quanto meno di ridurre drasticamente il deficit federale americano che ammonta a circa 2 mila miliardi all’anno. Ma Musk è stato irremovibile, infastidito, anche, dalla ‘guerra’ che le alte burocrazie americane gli hanno dichiarato, contestando e qualche volta bloccando le iniziative del ‘DOGE’. Musk, che ha lasciato il Partito Democratico e ora ha rotto anche con il Partito repubblicano di Trump, ha detto che fonderà un nuovo soggetto politico che si chiamerà “Partito America”. Qualcuno ha scritto che il nuovo partito di Musk sarà di centro. Questo fa un po’ sorridere. In un mondo normale un partito ultra-liberista è di destra: punto. Mel mondo occidentale e distopico attuale non ci sarebbe da stupirsi se Musk, che vuole tagliare milioni di posti di lavoro e ridurre la sanità pubblica, decidesse di presentarsi come ‘centrista’, magari democristiano…