Il Giappone risponde ai dazi di Trump vendendo i titoli di Stato americani? Scenario improbabile:  vediamo perché

Usa_Giappone_Bandiere2_MM.jpg

Si complicano i rapporti tra Stati Uniti d’America e Giappone a causa dei dazi doganali voluti dall’amministrazione di Donald Trump? I fatti ci dicono che stiamo entrando in una seconda fase della cosiddetta ‘guerra commerciale’. All’inizio, quando il presidente statunitense ha cominciato ad appioppare i dazi, le reazioni sono state scomposte, se non isteriche: Trump è il solito “matto”, “vuole distruggere il commercio mondiale”, “gli Stati Uniti pagheranno un prezzo altissimo per questa scelta dissennata” e via continuando.

Nella settimana che si sta concludendo siamo scoprendo che gli USA, con i dazi doganali al 10% estesi a tutti i Paesi del mondo che esportano prodotti in America, stanno guadagnando una barca di soldi e, di conseguenza, non stanno pagando alcun “prezzo altissimo”.

In più, alcuni Paesi del mondo che annunciavano fuoco e fiamme contro i dazi doganali americani, stanno trattando con il Governo federale americano, perché hanno capito che, per continuare a esportare i propri beni negli Stati Uniti, dovranno cominciare ad importare prodotti americani. Persino l’Unione europea, all’inizio scatenata contro Trump, sta cominciando a mediare. Ma c’è un Paese che sembra invece mollato di brutto contro gli USA: il Giappone. Che sembra non volerne proprio sapere di trovare un accordo su import ed export con gli americani e vorrebbe addirittura andare a uno scontro diretto contro l’amministrazione Trump, magari utilizzando una sorta di ricatto, iniziando a vendere i titoli di Stato a stelle e strisce.

La notizia circola da qualche giorno. E ieri, su un canale Telegram che da qualche giorno cavalca un antiamericanismo in verità un po’ insolito, abbiamo letto un post che proponiamo ai nostri lettori: “I colloqui commerciali tra Tokyo e Washington non stanno andando bene. Per questo motivo, il Ministero delle Finanze giapponese sta già accennando alla possibilità di vendere titoli di Stato americani, di cui ha accumulato una quantità incommensurabile. L’anno scorso, i giapponesi hanno dovuto vendere beni americani per contenere in qualche modo la svalutazione dello yen.

Ora potrebbero ricorrere a questa soluzione per ragioni politiche. Dopotutto, è necessario avere almeno un certo potere decisionale nei negoziati con Trump. Il volume d’affari commerciale totale tra USA e Giappone ammonta a 220 miliardi di dollari all’anno. Il surplus commerciale di Tokyo raggiunge i 60 miliardi. Hanno davvero bisogno di accedere al mercato americano soprattutto sullo sfondo della crescente concorrenza dell’industria automobilistica cinese, che sta sottraendo mercato a quella giapponese. Allo stesso tempo, Tokyo detiene titoli di Stato statunitensi per un valore di ben 1,1 trilioni di dollari. La Cina sta già svendendo titoli del Tesoro USA a pieno ritmo. La situazione sul mercato obbligazionario statunitense è attualmente estremamente instabile. Gli investitori stranieri stanno abbandonando gli investimenti in titoli del Tesoro e in dollari e qualcuno deve comprare tutto questo e sostenere la piramide del debito”.
In realtà, in questo post c’è un po’ di enfasi, quasi un tentativo di drammatizzare le diversità di vedute tra USA e Giappone, che ci sono ma che difficilmente potrebbero degenerare in una ‘guerra’ sui titoli di Stato americani. Argomento affrontato dal quotidiano scenarieconomici.it che dà di questa vicenda un’interpretazione più pacata, analizzando non soltanto i pro (in favore del Giappone) ma anche i contro (ovvero gli effetti negativi che la vendita dei titoli di Stato americani potrebbe sortire nello stesso Giappone).

Non a caso scenarieconomici.it – che è un quotidiano economico – inizia il proprio articolo sottolineando la “ gaffe incredibile del Ministro delle Finanze giapponese Katsunobu Kato”, che “ha portato un po’ di confusione sui titoli di Stato a stelle e strisce”. Il Ministro giapponese ha detto che il suo Paese detiene mille e 100 miliardi di dollari americani, “i più alti di qualsiasi altro creditore estero”. Ebbene, tale grande quantitativo di titoli di Stato americani potrebbe diventare “carta di negoziazione” nei colloqui commerciali con Washington. In parole semplici, questo il ‘succo’ del ragionamento del Ministro giapponese, il Giappone, leggiamo sempre su scenarieconomici.it, “minaccia di vendere alcuni o tutti i suoi 1.100 miliardi di dollari di obbligazioni in caso di imposizione di dazi”.
Possibile che il Giappone faccia una cosa del genere? Se ciò dovesse avvenire cosa succederebbe? Come reagirebbero gli americani? Potrebbe intervenire la Federal Reserve System, la Banca centrale americana conosciuta con la sigla Fed, acquistando i titoli di Stato messi in vendita dal Giappone. Potrebbe anche intervenire il Tesoro americano, acquistando i titoli messi in vendita dal Giappone.

Ovviamente, tale mossa, da parte giapponese, farebbe infuriare Trump, provocando un peggioramento dei rapporti tra USA e Giappone, non soltanto sul piano commerciale, ma anche sul piano economico e, soprattutto, politico. Non solo. Come scrive sempre scenarieconomici.it, l’eventuale mossa giapponese provocherebbe “un calo nel valore dei titoli a stelle a strisce” che porterebbe a “perdite per le banche centrali e le istituzioni che li posseggono: Tokio si sparerebbe sul piede”.

Ovviamente, i rapporti tra Giappone e Stati Uniti si deteriorerebbero. Dopo una rottura di questa portata il Giappone potrebbe dire addio al mercato americano. Fine dei possibili problemi? Non proprio. Scrive ancora scenarioecnomici.it: “Il Giappone è potentemente esposto verso il dollaro: la Federal Reserve concede delle linee di swap in dollari alle banche centrali per poter pompare dollari nei momenti di necessità, in modo da stabilizzare i cambi. La Federal Reserve potrebbe chiedere alle controparti meno amichevoli di ‘coprire’ maggiormente queste linee, obbligando quindi il Giappone a trovare qualche centinaio di miliardi di dollari dal mattino alla sera. Buona fortuna!”. Insomma, gli effetti negativi, per il Giappone, sarebbero molteplici (come potete leggere nell’articolo per esteso: https://scenarieconomici.it/una-mossa-improvvida-del-giappone-porta-confusione-nei-titoli-usa/). La verità è che anche il Giappone, come l’Unione europea e come tanti altri Paesi del mondo che da anni esportano i propri beni negli Stati Uniti, hanno vissuto bene con i surplus commerciali.

Oggi l’America non vuole più proseguire su questa strada. Tutti i Paesi che esportavano a ruota libera negli USA, che gli piaccia o no, se ne dovranno fare una ragione. Intanto tutti si ‘sciroppano’ il 10% di dazi doganali e tutti, per continuare ad esportare beni in America, dovranno acquistare beni americani. Dopo di che, attenzione: siccome l’eventuale scelta del Giappone di andare allo scontro totale con gli USA sarebbe, alla fine, una scelta politica, vale sempre la sacrosanta regola: in politica mai dire mai. Tutto è possibile. Anche se il buon senso lascerebbe pensare a l’avvio di una trattativa tra America e Giappone. Anche perché, come per altri Paesi del mondo, è il Giappone che ha messo all’incasso il surplus commerciale e non viceversa…