Il grande ritorno dello Stato in economia dagli USA all’Italia grazie anche allo smantellamento della globalizzazione operato da Donald Trump

Trump (foto italpress) - mediaoneonline.it (1)
Dopo l’ultra quarantennale ubriacatura di ultra-liberismo e globalismo sembra che nell’Occidente sia in corso un ripensamento
Sarà perché l’America di Donald Trump ha deciso di dire basta al deficit federale annuo di circa 2 mila miliardi di dollari con l’imposizione di dazi doganali a quasi tutti i Paesi del mondo ponendo fine, di fatto, alla globalizzazione, sarà perché le multinazionali hanno esagerato con l’imposizione forzata delle proprie produzioni, sarà perché la citata globalizzazione dell’economia, lungi dal creare ricchezza diffusa, ha aumentato le diseguaglianze economiche e sociali là dove ha attecchito, fatto sta che in alcuni Paesi occidentali, Stati Uniti d’America in testa, lo Stato sta tornando a gestire alcuni settori dell’economia.
Eclatante quanto sta avvenendo in America, dove il Governo federale di Trump ha deciso di acquisire una sostanziosa partecipazione azionaria in una grande società quotata in Borsa, la Lithium Americas Corp, gruppo che opera nella lavorazione del litio. Da quello che si legge qua e là, la società qualche anno fa ha contratto un prestito dallo Stato; l’amministrazione Trump, invece di farsi restituire il denaro, acquisirebbe il 10% circa delle azioni di questa società.
Una mossa che è stata apprezzata dal mercato azionario, se è vero che il valore delle azioni della Lithium Americas Corp è schizzato all’insù. Trump conta di fare molto di più: far risorgere con i soldi dello Stato l’industria automobilistica americana, potenziare l’industria farmaceutica e rafforzare, in generale, l’autonomia economica e alimentare degli Stati Uniti. Non è un caso insomma, che il ripensamento sul ruolo dello Stato nell’economia stia partendo proprio dagli USA. E’ da qui, nei primi anni ’80 del secolo passato, con la presidenza di Ronald Reagan, che è iniziata l’avventura neo-liberista, sostenuta dalla scuola economica di Chicago, caratterizzata, soprattutto, da due economisti teorici del libero mercato e del laissez-faire: Milton Friedman e Gary Becker. Per oltre quarant’anni il liberismo economico, che ha prodotto la globalizzazione dell’economia, ha tenuto banco in quasi tutto il cosiddetto Occidente industrializzato. Da alcuni anni, però, i conti cominciano a non tornare.
Il principio cardine della globalizzazione è che ogni Paese deve specializzarsi nella produzione di alcuni beni. Ovviamente secondo i criteri dell’ultra-liberismo: via lo Stato dall’economia e privatizzazioni a tutto spiano. Se nel Paese X produrre auto costa meno rispetto a tutti gli altri Paesi per il basso costo della manodopera e, in generale, per i costi più bassi rispetto alla media, è lì che si deve concentrare la produzione di auto. E così vale per tutte le altre produzioni. Secondo questa teoria, ogni Paese del mondo, che produce a costi bassi i propri beni, li scambia con gli altri Paesi che, a propria volta, li producono a costi bassi. Il risultato finale è che ogni Paese del mondo si specializzerà nella produzione di alcuni beni con il libero mercato che consentirà a tutti i Paesi di avere beni a iosa a basso prezzo. Ma le cose stanno proprio così? Assolutamente no. Perché con questa impostazione ogni Paese perderebbe la propria autonomia economica dipendendo dagli altri. E infatti alcuni Paesi occidentali, come l’Italia, sono caduto nella trappola; altri Paesi occidentali hanno aderito a metà. Gli unnici ad aver guadagnato con la globalizzazione sono gli americani. Vediamo il perché.
Chi guadagna dalla globalizzazione
La globalizzazione si fonda sulla produzione di beni là dove costa meno produrli e sull’esportazione libera senza dazi doganali in tutti i Paesi del mondo. Come ha dimostrato la vicenda dei dazi doganali imposti dall’amministrazione Trump, l’America è stato l’unico Paese del mondo che ha azzerato i dazi e ha fatto entrare nel proprio territorio i beni di qualunque Paese. Già questo dimostra il fallimento della globalizzazione, perché la stragrande maggioranza dei beni prodotti in tutti i Paesi del mondo sono stati esportati in grande maggioranza negli Stati Uniti d’America. Cosa ci hanno guadagnato gli USA? Intanto hanno avuto a disposizione per i propri 350 milioni di abitanti i beni prodotti in tanti Paesi del mondo: non è una cosa di poco conto. Direte: ma così ogni anno l’America accumulava un deficit enorme frutto della Bilancia commerciale negativa. E’ così: al 31 Dicembre 2024 gli USA hanno accumulato un deficit federale di circa 2 mila miliardi di dollari. Ma questo non è mai stato un problema per almeno due motivi. Primo motivo: perché quello che perdevano con il deficit commerciale, gli USA se lo riprendevano con le speculazioni sul dollaro. Secondo motivo: perché con il dollaro insostituibile negli scambi commerciali internazionali gli americani non hanno avuto problemi.
Ma da qualche anno, con il processo di dedollarizzazione portato avanti dai Paesi del BRICS, Cina in testa, è venuto parzialmente meno il secondo motivo e, in parte, anche il primo motivo. Da qui la mossa dell’amministrazione Trump: stop al deficit federale e grandi guadagni con l’imposizione dei dazi doganali a tutti i Paesi del mondo. Questa vicenda dimostra che la globalizzazione era già in crisi quando si è capito che l’unico Paese che importava liberamente tutti i beni prodotti da tutti i Paesi del mondo era l’America. Mentre altri Paesi, Italia in testa ma non soltanto l’Italia, hanno mantenuto fino a qualche mese fa i dazi doganali verso i beni prodotti in America e in altri Stati. Sui dazi doganali americani c’è stata tanta disinformazione, soprattutto da parte della televisione, vera e propria macchina della realtà contraffatta. La televisione ha fatto passare la tesi che Trump il ‘cattivo’ ha introdotto i dazi doganali, quando invece erano gli altri Paesi del mondo, Unione europea in testa, che mantenevano i dazi verso le produzioni statunitensi mntre esportavano i propri beni negli USA a dazio zero. Di più: come già accennato, alcuni Paesi occidentali hanno aderito a metà alla globalizzazione, mentre altri Paesi non occidentali, Cina in testa, hanno usato la globalizzazione per vendere i propri beni nel mercato americano a dazi zero.

La Germania e la Francia, clamorosi esempi
Due esempi clamorosi di non applicazione della globalizzazione sono rappresentati da Germania e Francia. Questi due Paesi non hanno privatizzato tutte le banche e tutte le industrie, come predica il liberismo economico. E siccome controllano l’Unione europea da quando è entrato in vigore la moneta unica europea (leggere euro), hanno imposto, talvolta con ricatti politici e monetari, le privatizzazioni ai Paesi Ue governati da politici in buona parte ‘fragili’ o non troppo furbi (o forse molto furbi…) per impadronirsi di importanti asset. I tedeschi, ad esempio, hanno acquisito il controllo dei cieli italiani acquistando l’ex Alitalia oggi ITA; ma quando una banca italiana ha provato ad acquisire una banca tedesca – Commerzbank – si sono opposti. La stessa cosa ha fatto la Francia che, nell’agroalimentare, ha fatto man bassa di aziende italiane; ma quando l’Italia ha provato ad acquisire alcuni settori della cantieristica francese è arrivato il secco “No” del Governo francese.
Pensate un po’: l’Italia, nel nome dell’ultraliberismo demenziale, ha fatto a pezzi l’IRI e ha svenduto tutte le società di questa holding. Proprio l’IRI, azienda gioiello dello Stato italiano, che ha reso grande l’economia del nostro Paese. Nei primi anni ’90, con una campagna di stampa orchestrata chissà da chi, hanno fatto passare la tesi farlocca che l’IRI sprecava risorse quado invece era l’esatto contrario. Tutto questo a vantaggio di Francia, Germania e, in parte, anche dell’Inghilterra. Il problema – che in realtà è un dramma culturale prima che economico – è che i politici e i ‘presunti’ economisti che hanno massacrato l’economia italiana passano ancora oggi per grandi ‘statisti’ e per grandi economisti. Oggi, per concludere il nostro ragionamento, l’Italia sta provando a liberarsi degli ‘ascari’ che l’hanno svenduta riprendendosi alcuni ‘pezzi’ dell’economia. I casi di Italgas e del Monte dei Paschi sono molto importanti. La prima ha rilevato importanti aziende italiane (anche la gestione dell’acqua in Sicilia, ad esempio), impedendo la svendita all’estero. Monte dei Paschi ha rilevato Mediobanca con le sue partecipazioni. Ma il rischio è ancora altro, perché questi due gruppi non sono totalmente controllati dallo Stato italiano. A meno che – cosa possibile – in caso di scalata dei soliti ‘Padroni del mondo’ (leggere i Fondi) non facciano valere le ragioni italiane, non senza probabili contenziosi. Bisogna dire che il Governo di Giorgia Meloni è il primo esecutivo che sta provando a ripristinare la sovranità almeno in alcune parti dell’economia italiana. Anche se, per esempio, sta sacrificando l’agricoltura del nostro Paese. Ma, soprattutto rispetto agli ultimi tre Governi italiani, l’esecutivo Meloni, nel complesso, è quello che sta difendendo l’economia italiana, ribadiamo, agricoltura a parte
