Il “No” della Corte dei Conti blocca il Ponte sullo Stretto di Messina? No. Semmai l’opera potrebbe essere bloccata dal Governo Meloni per altri motivi…

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Davvero il “No” della Corte dei Conti al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina blocca la realizzazione dell’opera? Assolutamente no. Come proveremo a illustrare, il Governo di Giorgia Meloni e il Parlamento, per procedere, non hanno bisogno del visto di legittimità della Magistratura contabile. La mossa dei giudici, questo sì, potrebbe creare problemi nei possibili contenziosi, perché dà forza a chi, a vario titolo e per varie ragioni, presenterà ricorsi contro le varie fasi dei lavori. A cominciare dagli espropri delle abitazioni: circa 300 in Sicilia e circa 150 in Calabria. Chi vive in queste case dovrebbe avere già presentato ricorso contro l’esproprio. Il secco “No” della Corte dei Conti alla delibera approvata lo scorso 6 Agosto dal Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) – il gruppo di Ministri che decide su quali grandi opere pubbliche finanziare con i soldi dello Stato – darà una grande forza ai cittadini che presenteranno ricorso. Siamo arrivati al vero snodo di questa storia: la mossa della Magistratura contabile che, di fatto, manifesta dubbi sulla citata delibera Cipess che ha avallato il progetto definitivo del Ponte di Messina, dà una ragione in più – una ragione forte – per bloccare questa o quella fase dei lavori. A cominciare, ribadiamo, dagli espropri delle case, la cui presenza intralcia i lavori per la realizzazione dell’opera.
Chi vuole approfondire gli aspetti tecnici del “No” della Corte dei Conti al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina può leggere vari giornali (qui riportiamo un articolo esaustivo: https://www.wired.it/article/la-corte-dei-conti-ha-bocciato-il-ponte-sullo-stretto-dopo-mesi-di-verifiche/). Noi proviamo invece a illustrare perché il pronunciamento della Corte dei Conti non blocca la realizzazione dell’opera ma potrebbe invece creare problemi sul fronte dei contenziosi. E problemi politici. Cominciamo con la procedura che consente al Governo Meloni – se ovviamente c’è tale volontà politica – di superare lo scoglio creato dalla Magistratura contabile. Come? Il Consiglio dei Ministri dovrebbe approvare un documento nel quale si stabilisce che il Ponte sullo Stretto è un’opera pubblica che presenta un interesse pubblico superiore. Tale documento poi dovrebbe essere approvato dal Parlamento, dove l’esecutivo di centrodestra ha la maggioranza. Con la doppia approvazione – Consiglio dei Ministri e Parlamento – verrebbero meno i vincoli giuridici introdotti dalla Corte dei Conti e si potrebbe procedere alla realizzazione dell’opera. Questo scenario presuppone che, nel Governo Meloni, non sia in corso una recita per ‘ingabbiare’ il Ministro delle Infrastrutture e leader della Lega, Matteo Salvini. Sappiamo tutti che l’attuale Governo italiano è senza soldi. Il denaro per iniziare i lavori del Ponte di Messina – poco più di 2 miliardi di euro – li ha approntati solo in minima parte Roma. In massima parte – un miliardo e 600 milioni di euro – sono stati scippati alla Regione siciliana e alla Regione Calabria. Peraltro, i governanti di queste due Regioni, entrambi di centrodestra – Renato Schifani, presidente della Regione siciliana, e Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, entrambi di Forza Italia – non erano particolarmente contenti di subire questo scippo. Per motivi che non abbiamo compreso del tutto, soprattutto con riferimento a Schifani, che era stato molto duro verso lo scippo di fondi operato dal Ministro Salvini, a un certo punto i governanti siciliani e calabresi sono diventati prima silenziosi e poi addirittura favorevoli allo scippo ai danni delle loro rispettive amministrazioni. Misteri della politica italiana…
In ogni caso, questa storia è molto strana. Abbiamo non poche difficoltà a pensare che i gruppi imprenditoriali internazionali che dovrebbero realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina non siano riusciti a prevenire i dubbi sollevati dalla Corte dei Conti. L’italiana Webuild, la spagnola Sacyr e la giapponese Ihi, operano in tutto il mondo: possibile che non abbiano calcolato bene gli aspetti tecnici ed economici del progetto? In ogni caso, il pronunciamento dei giudici contabili farà chiarezza sui veri intendimenti del Governo Meloni. Se, come sembra in questo momento a giudicare dalle dichiarazioni di tutti i big del centrodestra italiano, c’è veramente la volontà di realizzare il Ponte sullo Stretto, beh, allora non ci dovrebbero essere problemi. Al massimo, si registrerà un ritardo di tre o quattro mesi. Il Governo dovrà aspettare che la Corte dei Conti renda note le motivazioni del proprio pronunciamento: e passerà un mese. L’esecutivo, o meglio, i tecnici che dovrebbero realizzare l’opera si prenderanno due mesi per replicare, punto per punto, ai rilievi dei magistrati contabili.
La Corte dei Conti dovrebbe contro-replicare: se dirà di nuovo “No”, il Governo Meloni, come già accennato, andrà avanti lo stesso facendosi scudo con l’interesse pubblico superiore. Se, invece, il Governo Meloni, davanti al secondo “No” della Corte dei Conti dovesse arrendersi, beh, allora sarà legittimo pensare che si è trattato di una recita di Fratelli d’Italia e di Forza Italia per mettere nel ‘sacco’ Salvini e la sua Lega.
Perché noi non escludiamo che vogliano mettere nel ‘sacco’ Salvini? Per almeno due motivi. In primo luogo perché i soldi che il Ministero delle Infrastrutture ha scippato alla Regione siciliana (un miliardo e 300 milioni di euro) e alla Regione Calabria (300 milioni di euro) sono Fondi di Coesione. Ma è noto che i Fondi di Coesione, in parte, esistono solo sulla carta. Una parte di questi soldi è finita in Ucraina per sostenere la guerra contro la Russia e un’altra parte di questi soldi viene utilizzata per pagare gli interessi sul debito pubblico, che per l’Italia ammontano a poco più di 100 miliardi di euro all’anno. Non bisogna stupirsi se i Governi utilizzano i fondi pubblici destinati a Sud e Sicilia per pagare spese che nulla hanno a che spartire con gli interessi di Sud e Sicilia: a partire dalla cosiddetta Seconda Repubblica questa prassi di stampo neocolonialista è ordinaria. Ovviamente, il Governo non può dire che ha utilizzato i soldi per investimenti di due Regioni del Sud per pagare le spese della guerra in Ucraina e per pagare una parte degli interessi sul debito pubblico. Così si ricorre a questi sotterfugi. Il secondo motivo per il quale Fratelli d’Italia e Forza Italia potrebbero mettere nel ‘sacco’ Salvini è un po’ più serio: iniziare una grande opera pubblica con la spada di Damocle di centinaia e centinaia di contenziosi con le ragioni dei ricorrenti oggettivamente rafforzate dal pronunciamento della Corte dei Conti è un rischio, soprattutto economico. Il Governo, per fronteggiare l’ondata di ricorsi, dovrebbe spendere soldi, per non parlare dei ritardi, che farebbero lievitare i costi dell’opera. Se proprio la dobbiamo dire tutta, magari in lingua siciliana, il pronunciamento della Corte dei Conti si configura come una ‘zippula’, che in lingua siciliana non è, come nella lingua napoletana e calabrese un dolce, ma una sorta di cuneo che va a ingarbugliare il meccanismo di un macchinario o, come in questo caso, di una procedura. Non ci resta che attendere non le parole dei protagonisti del Governo Meloni, ma gli atti concreti.
