La Sicilia riprova a realizzare i termovalorizzatori dei rifiuti: sarà finalmente la volta buona?

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Dopo oltre vent’anni la Sicilia prova per la seconda volta a realizzare i termovalorizzatori. Si tratta di inceneritori di rifiuti non riciclabili. Da questi impianti si punta ad utilizzare l’energia prodotta dalla combustione.

Questa decisione è stata voluta dal Governo regionale di Renato Schifani. Il progetto prevede la realizzazione di due termovalorizzatori, uno nella Sicilia occidentale e il secondo nella Sicilia orientale. Nel primo caso, come sede dell’impianto, il Governo dell’Isola ha puntato su Palermo e, per la precisione, nell’area dove sorge la discarica di Bellolampo.

Una scelta un po’ controversa, perché si tratta di una zona superinquinata che andrebbe bonificata. La politica ha individuato la discarica di Bellolampo nella speranza di salvare la RAP, la società che fa capo al Comune di Palermo che si occupa della raccolta e della gestione della stessa discarica di Bellolampo.

Questa opzione, che fa a pugni con la pressante esigenza di bonificare un’area inquinata, è a rischio di ricorso. Il termovalorizzatore di Catania verrà realizzato nell’area della Zona Industriale, precisamente in contrada Pantano d’Arci, di fronte all’Interporto. Questa, al contrario del papocchio di Palermo, è invece una scelta razionale. Gli impianti, mangia-mangia sugli appalti permettendo, dovrebbero entrare in funzione nel 2028.

Il riferimento al mangia-mangia non è casuale, se è vero che in Sicilia, negli ultimi venticinque anni, è stata completata – o quasi – una sola grande opera pubblica: l’autostrada Palermo-Messina, nell’Estate del 2005, opera che cominciò a presentare problemi pochi mesi dopo…

Tornando ai termovalorizzatori, va detto che a provare a realizzare questi impianti è stato il Governo regionale di Totò Cuffaro nei primi anni del 2000. Allora, a differenza di oggi, il sistema di potere che stava dietro alle discariche di rifiuti, vere e proprie macchine acchiappa-soldi pubblici, era ancora fortissimo e in grado di condizionare la politica. Il Governo Cuffaro non si fece condizionare, programmò e avviò la realizzazione di quattro termovalorizzatori. Alla fine si bloccò tutto in forza di un pronunciamento della Magistratura europea. Allora le polemiche furono roventi. Si sosteneva che i quattro impianti creavano problemi ambientali e che si potevano utilizzare metodi alternativi ed ecologici ai termovalorizzatori: per esempio, la raccolta differenziata dei rifiuti.

Erano valide queste motivazioni? Sì e no. Erano valide perché, in effetti, la raccolta differenziata dei rifiuti, se attuata bene, consente di fare a meno dei termovalorizzatori. Ma nei primi anni del 2000, in Sicilia, la raccolta differenziata dei rifiuti era irrisoria. Tutto questo mentre in alcune aree del Nord Italia – per esempio a Brescia – e nel Centro Europa i termovalorizzatori dei rifiuti erano già allora diffusi. La Germania, per citare un esempio, è un Paese molto attento ad evitare, o quanto meno a ridurre al minimo l’inquinamento. Già oltre venti anni fa gli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti in Germania, oltre a lavorare i rifiuti interni, lavoravano i rifiuti di altri Paesi europei, Italia compresa, guadagnando una barca di soldi e producendo energia.

E infatti la Magistratura europea bloccò la realizzazione dei quattro termovalorizzatori siciliani non perché erano impianti inquinanti, ma perché il Governo siciliano non aveva pubblicato i bandi sulla Gazzetta Ufficiale europea.

E oggi? Oggi, ribadiamo, lo scenario, in Sicilia, è molto diverso rispetto a un ventennio addietro. Le discariche presenti nella nostra Isola sono in buona parte sature e, se non verranno commessi errori nelle procedure, non ci dovrebbero essere problemi. Del resto, l’Europa è piena di termovalorizzatori. In Germania, al 31 Dicembre 2020, risultavano operativi 96 termovalorizzatori con una capacità di incenerimento di quasi 27 milioni di tonnellate di rifiuti. In Olanda sono presenti i più importanti termovalorizzatori d’Europa localizzati tra Amsterdam, Nijmegen, Rozenburg e Duiven. Termovalorizzatori sono presenti anche in Belgio, in Svezia (in questo Paese si contano 37 impianti di termovalorizzazione dei rifiuti che contribuiscono significativamente alla produzione di energia, riscaldando oltre 1 milione di case e fornendo elettricità a 250 mila appartamenti), in Danimarca, in Francia (qui si contano 140 impianti per la termovalorizzazione dei rifiuti), in Svizzera, in Norvegia, in Spagna (dove il numero di questi impianti è inferiore a quelli presenti in altri Paesi europei), in Grecia, in Ungheria e in altri Paesi.

Insomma, per dirla in breve, l’inquinamento prodotto dai termovalorizzatori sicuramente c’è ma si può tenere sotto controllo. Di certo, tali impianti inquinano molto meno delle discariche. Ci sono due problemi che vanno affrontati a monte. Primo problema: nel termovalorizzatore non vanno tutti i rifiuti ma solo quelli che possono essere bruciati.

Ciò significa che il ricorso ai termovalorizzatori postula la presenza della raccolta differenziata: la parte dei rifiuti che non può essere bruciata va riciclata e non gettata nelle discariche: su questo punto la vigilanza dovrà essere rigorosa. Secondo problema: fatta 100 la quantità di rifiuti non riciclabili che vengono bruciati durante il processo di termovalorizzazione, bisogna tenete conto che si producono ceneri pari, grosso modo, a un terzo dei rifiuti iniziali: ciò significa che bisognerà pensare a come smaltire tali ceneri, che non saranno poche. In alcuni casi le ceneri vengono rese inerti e seppellite in opportune discariche o, se non contengono sostanze pericolose, vengono utilizzate dalle industrie. Vedremo cosa succederà in Sicilia.