Nel 18esimo pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia si prevede un attacco al petrolio del Paese di Putin. Funzionerà? Qualche dubbio c’è…

di Giulio Ambrosetti
Nel 18esimo pacchetto di sanzioni economiche che l’Unione europea ha messo a punto contro la Russia c’è un preciso attacco al petrolio del Paese di Putin, terzo nl mondo per la produzione di petrolio dopo Stati Uniti d’America e Arabia Saudita.
In questo momento il prezzo del petrolio nel mondo oscilla tra 65 e 70 dollari al barile. L’Ue ha stabilito un tetto massimo del prezzo del petrolio russo: 47,6 dollari al barile.
Ovviamente, questo prezzo riguarda i Paesi dell’Unione europea, perché gli altri Paesi del mondo non sono vincolati alle imposizioni Ue. L’Unione sta provando anche a ostacolare la navigazione delle cosiddette “flotte ombra”, navi che eludono le sanzioni commerciali. Quella dell’Unione europea è una forzatura, perché il diritto della navigazione ammette le cosiddette navi che battono bandiera ombra, o bandiera di comodo o di convenienza. Sono navi registrate in Paesi diversi dal Paese del proprietario. Si ricorre ordinariamente a queste navi per ragioni fiscali o per evitare normative stringenti. Sul fatto che l’Unione europea possa impedire a queste navi di attraccare nei porti europei, beh, non ci sono dubbi ammesso che tutt’e 27 Paesi Ue siano d’accordo su questo punto).
Ma la navigazione di tali navi non può essere ostacolata. A nostro modesto avviso, se queste navi ombra riconducibili alla Russia verranno ostacolate durante la navigazione non escludiamo incidenti, anche ‘pesanti’…
La domanda è: questa restrizione sul petrolio russo e, in generale, il 18 pacchetto di sanzioni Ue alla Russia sortirà gli effetti sperati dall’Unione europea? Queste restrizioni, lo ricordiamo, sono state messe in campo, per la diciottesima volta, per provare a convincere i russi a fermare l’avanzata in Ucraina.
In realtà, almeno fino ad ora, sta succedendo l’esatto contrario: da quando la Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen ha messo in campo il nuovo pacchetto di sanzioni contro il Paese di Putin, i russi hanno moltiplicato i bombardamenti in Ucraina e continuano ad avanzare. Per rendersene conto, basta spegnere la televisione e informarsi sui giornali internazionali e su Telegram. Da dove viene fuori che i bombardamenti russi con droni, missili e quant’altro non danno tregua alla capitale dell’Ucraina e ad altre decine e decine di città grandi e piccole di questo Paese. Di più: fino ad oggi i 17 pacchetti di sanzioni adottate dall’Ue, più che danneggiare la Russia, hanno danneggiato le economie di molti dei 27 Paesi dell’Unione europea. Con molta probabilità, anche il 18esimo pacchetto di sanzioni sortirà gli stessi effetti. La spiegazione è semplice: l’Unione europea, in questa guerra economica contro la Russia può contare sull’appoggio di qualche Paese occidentale, ad eccezione dell’America di Donald Trump che, sulla carta, soprattutto nelle ultime due settimane, dice di essere contro la Russia di Putin ma, nei fatti, non lo è più di tanto. Mentre la Russia è aiutata dalla Cina, dall’India e, in generale, dai Paesi del BRICS. Questo spiega perché la Russia, pur combattendo contro una cinquantina di Paesi occidentali e contro la NATO on solo vince sul campo, ma ha un’economia in crescita, a differenza dell’Unione europea, la cui economia segna ormai il ‘rosso fisso’.
In più c’è il presidente americano che un giorno sì e altro pure si prende gioco dell’Unione europea. Agli osservatori attenti non sarà sfuggito che nei giorni scorsi Trump ha lanciato un ‘ultimatum’ un po’ tragicomico a Putin. Il presidente statunitense ha dato al presidente della Federazione Russa 50 giorni di tempo, poi, ha precisato, se la Russia non smetterà di bombardare l’Ucraina scatteranno le sanzioni. In genere, se si lancia un ultimatum si concede all’interlocutore tre giorni di tempo, cinque giorni di tempo, una settimana di tempo, non certo 50 giorni! Non ci vuole molto a capire che Trump sta prendendo per i fondelli il Governo Ucraino e l’Unione europea. Basta ragionare sui ‘numeri’. Ormai da più di due settimane, ogni giorno, la Russia bombarda l’Ucraina con una media di 600-700 droni, più un numero crescente di missili e via continuando. Contemporaneamente, via terra, i russi continuano ad avanzare nel territorio ucraino. Gli ucraini e i suoi alleati – NATO e Unione europea – cercano a propria volta di bombardare la Russia, soprattutto Mosca. Ma per ogni cinquanta obiettivi centrati dai russi, ucraini e alleati ne centrano, sì e no, un paio. Insomma, il paragone, sotto il profilo militare, non regge.
C’è un altro aspetto demenziale che ha tenuto banco per circa due settimane. Come i lettori ricorderanno, circa due settimane fa, Trump, con un colpo di teatro, ha detto che non avrebbe più fornito difesa aerea all’Ucraina. Si è trattato di una presa per i fondelli della quale i ‘capi’ dell’Unione europea si sono accorti solo da un paio di giorni. Quando Trump ha detto: “Basta missili Patriot all’Ucraina”, i governanti europei hanno cominciato a implorare il presidente americano: “Non possiamo abbandonare l’Ucraina, bisogna fornire i missili Patriot al Paese di Zelensky”. Dopo due settimane Trump si è cimentato in un secondo colpo di teatro e ha annunciato: “Ok – ha detto il presidente USA – daremo i missili Patriot all’Ucraina, ma li pagherà la NATO”. Cioè i 32 Paesi che fanno parte della NATO. Poi siccome della NATO fa parte anche l’America, che quindi dovrebbe pagare in quota parte i Patriot, Trump ci ha ripensato: “I Patriot forniti all’Ucraina – ha precisato – li pagherà l’Unione europea”.
C’è un ‘piccolo’ dettaglio. Una batteria di Patriot costa un miliardo di dollari. Un missile Patriot costa circa un milione di dollari. Mentre un drone russo costa poco meno di 5 mila euro (e forse anche meno). Ora, si può sparare un missile Patriot che costa un milione di dollari per colpire un drone russo che costa 5 mila dollari? Anche a voler ottimizzare, magari un missile Patriot per abbattere 50 droni russi (e non è così) il sistema non regge economicamente. Ma di questo l’Unione europea – chiamata a pagare i Patriot – si sta accorgendo solo adesso. Né i governanti Ue che hanno pregato quasi in ginocchio Trump di fornire i missili Patriot all’Ucraina possono adesso dire qualcosa: che figura ci farebbero? Questo spiega la rabbia con la quale l’Unione europea sta provando a ‘comminare’ il 18esimo pacchetto di sanzioni alla Russia. Ma al Paese di Putin, che ha dietro i Paesi del BRICS, Cina e India in testa, che danno potrà fare l’Unione europea? Sempre per la rabbia, l’Ue è arrivata persino a minacciare una raffineria in India perché lavora petrolio russo. Gli indiani non hanno nemmeno risposto. Forse sono perplessi, perché l’Unione europea vorrebbe vendere in India una parte dei prodotti che non riesce più a vendere negli Stati Uniti d’America. Ma che senso ha dire a un Paese al quale vuoi vendere i tuoi prodotti: “Però tu non devi raffinare petrolio russo”. Cosa debbono pensare i governanti indiani dell’Unione europea?
Ultima ‘chicca’ con base nella nostra Isola. Sulla carta la raffineria di petrolio di Priolo, in Sicilia, è stata ceduta dai russi della Lukoil alla G.O.I. Energy, società controllata dal fondo di private equity cipriota Argus New Energy Fund. Al vertice di G.O. I. Energy c’è Michael Bobrov, che è anche CEO e azionista di maggioranza di Green Oil Energy, società che controlla Bazan Group, uno dei principali gruppi energetici e petrolchimici di Israele. Insomma, per dirla in breve, gli israeliani controllano la raffineria di Priolo, che è una delle più grandi d’Europa, sulla base di un accordo con i russi. A Priolo si raffina il 40% e forse più delle benzine italiane. Da quello che si sussurra, Putin e il capo del Governo israeliano, Benjamin ‘Bibi’ Netanyahu, avrebbero siglato un patto per lavorare in Sicilia petrolio russo. Vero? Falso? Vattelappesca. Se fosse così sarebbe un bel casino, perché in teoria a Priolo non dovrebbe più arrivare petrolio russo…
