Per un accordo sui dazi a Cina e USA sono bastati due giorni. L’Ue condannata allo stallo? Difficile per la Commissione trattare per 27 Paesi

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Ricordate le dichiarazioni bellicose del presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, dopo che gli Stati Uniti d’America di Donald Trump hanno appioppato a questo Paese i dazi doganali? “Risponderemo colpo su colpo”, “Non ci faremo intimidire” e via continuando. Dopo di che è bastato il primo incontro andato in scena qualche giorno fa a Ginevra tra i rappresentanti degli USA e i rappresentanti del Paese del Dragone per arrivare a un accordo parziale di 90 giorni a partire da oggi 14 Maggio 2025. Il Governo federale americano si impegna a ridurre i dazi doganali dal 145% al 30%, mentre la Cina riduce i dazi dal 125 al 10%. L’accordo, lo ribadiamo, è temporaneo ed è valido per 90 giorni. Nei prossimi tre mesi i due Paesi – che poi sono le due più grandi economie del mondo – si impegnano a trovare un accordo duraturo. Va da sé che la Cina non potrà più esportare negli USA i propri prodotti a ruota libera. Ricordiamo che nel 2024, il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina è stato di 263 miliardi di dollari circa. Una cifra mostruosa che, ovviamente, ha favorito la Cina.

Questo non si verificherà più. Le due grandi potenze economiche dovranno trovare un equilibrio import-export che soddisfi entrambe le parti. Non sarà una cosa semplice, perché gli interessi in gioco tra i due Paesi sono enormi. Ciò che appare chiaro sin da ora è che la Cina dovrà accettare la fine della globalizzazione economica che l’amministrazione Trump sta piano piano smantellando. Questo passaggio è importante. Fine della globalizzazione e non significherà che i Paesi non potranno più esportare i propri prodotti in altri Paesi: questo avverrà sempre, ma in misura molto minore rispetto ad oggi. Finità la competizione folle tra i vari Paesi e ogni Paese dovrà pensare a raggiungere una propria autonomi-a economica senza dipendere in tutto e per tutto da altri Paesi.
In questa fase iniziale delle trattative, tornando a USA e Cina, dovrebbero essere rimossi gli elementi di tensione tra i due Paesi. Il Governo cinese, per citare un esempio, ha accettato di sospendere o di rimuovere tutte le contromisure imposte agli USA dal 2 Aprile scorso. La Cina aveva deciso di non esportare più in America alcuni minerali essenziali: provvedimento che è stato ritirato. I cinesi hanno anche eliminato alcune sanzioni che avevano colpito un certo numero di aziende statunitensi. Riprenderanno anche le consegne alle compagnie aeree cinesi degli aeromobili di fabbricazione statunitense (qui un articolo: https://www.italiaoggi.it/economia-e-politica/dazi-in-cina-riprendono-le-consegne-degli-aerei-della-boeing-isg1421s).

Nel corso di un incontro con i rappresentanti dell’America Latina e dei Caraibi Xi Jinping ha manifestato una certa soddisfazione: “Nessuno può vincere una guerra dei dazi doganali o una guerra commerciale. Le vessazioni e l’egemonismo portano solo all’isolamento”. In realtà, se c’era un’egemonia nei rapporti commerciali tra USA e Cina, ebbene, ad esercitarla è stata per anni la stessa Cina. Certo, quella americana era anche una strategia: legare a sé tanti Paesi che esportavano negli Stati Uniti la maggior parte dei beni che producevano. L’America accumulava un grande deficit federale, ma questo non era un problema perché con la propria moneta speculativa – il dollaro – gli statunitensi compensavano le perdite. Oggi non è più così, se è vero che i Paesi del BRICS – che oggi sono una quindicina, più tanti altri Paesi non occidentali chiedono di entrare a farne parte – lavorano da tempo al processo di ‘dedollarizzazione’, ovvero la sostituzione del dollaro con altre divise negli scambi commerciali internazionali. Già una ventina di Paesi non commercializzano più i propri prodotti in dollari, ma utilizzano altre monete.

In attesa di arrivare a una moneta unica, agganciata all’oro, alternativa al dollaro. E a guidare i Paesi del BRICS è proprio la Cina. Con molta probabilità, gli americani non resteranno con le mani in mano. Intanto, smantellando la globalizzazione i Paesi che fino ad oggi hanno prodotto soprattutto per esportare, come già accennato, dovranno iniziare a tirare i remi in barca, cominciando a pensare in primo luogo all’autosufficienza alimentare, all’autonomia economica e anche all’autonomia monetaria. Abbiamo già detto che i Paesi del BRICS vogliono arrivare a una moneta legata all’oro controllata dagli Stati e non dalle banche. Con molta probabilità, anche l’America di Trump punta a eliminare la Banca Centrale americana, la Federal Reserve System, conosciuta anche come FED, per assegnare al Tesoro, cioè allo Stato, la gestione della moneta. Se ci riflettiamo, era quello che in piccolo Aldo Moro provò in parte a realizzare alla fine degli anni ’60 del secolo passato, quando lanciò l’operazione 500 lire di carta che non provenivano dalla Banca d’Italia ma direttamente dal Tesoro. Questo sarà il futuro, nemmeno troppo lontano.

Ma oggi c’è il presente. L’amministrazione Trump ha siglato un accordo con l’Ucraina sulla gestione dei metalli, togliendo all’Unione europea, Germania e Francia in testa, le strategiche riserve di uranio e titanio presenti nel sottosuolo ucraino. Poi ha siglato un accordo commerciale con il Regno Unito. Sta trattando, senza troppo clamore, con tanti altri Paesi, sempre in materia di commercio, e ha siglato il citato accordo di 90 giorni con la Cina, in attesa della stesura definitiva di quello che, alla fine, sarà un contratto. Trump è ottimista e molto soddisfatto: “In soli tre mesi – dice – mille miliardi di dollari (e quindi un numero record di posti di lavoro!) sono arrivati negli Usa. Questo grazie alla mia politica di dazi e alla nostra grande vittoria elettorale del 5 Novembre! Gli stupidi Democratici stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per denigrare ciò che sta accadendo – prosegue Trump -. Sono totalmente fuori di testa e hanno perso ogni livello di fiducia. È una rivoluzione finanziaria e loro sono stati schiacciati. MAGA!”.

All’appello manca l’Unione europea. Trump, che è un furbacchione, ha accettato l’idea balzana di una Commissione europea che dovrebbe trattare con gli USA un’ipotesi di accordo commerciale. Con la differenza che il presidente americano sa quello che vuole e che intende ottenere: ovvero che i 27 Paesi Ue acquistino un bel po’ di prodotti americani. Mentre la Commissione europea annaspa, perché non sa come mettere d’accordo 27 Paesi europei con esigenze economiche e commerciali diverse. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha tentato di giocare una carta azzardata: ha offerto agli USA l’acquisto di 50 miliardi di beni americani. In cambio la Germania – e non tutti i Paesi Ue – dovrebbe tornare a vendere auto in America. Proposta respinta dagli USA, in primo luogo perché, secondo Trump, i 27 Paesi Ue debbono acquistare più prodotti americani. Da quello che si capisce, gli statunitensi si aspettano che i Paesi dell’Unione europea acquistino almeno 150 miliardi di euro di prodotti americani. In ogni caso, la Germania non potrà più esportare negli USA il grande quantitativo di auto che ha esportato negli ultimi anni. Questo perché nel progetto politico ed economico di Trump c’è il rilancio dell’industria automobilistica americana. In Italia, per citare un esempio, Stellantis, la multinazionale che ha inglobato la Fiat, sta chiudendo quasi tutti gli stabilimenti italiani e sta investendo in America. I tedeschi, che gli piaccia o no, se ne dovranno fare una ragione.