Prematuro un giudizio sul viaggio della Meloni negli USA: ci potrebbero essere elementi non resi noti

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Il vice presidente degli Stati Uniti d’America, JD Vance, è arrivato oggi in Italia. La sua visita è stata organizzata da tempo. Ma è difficile non vedere un legame tra l’incontro di ieri, alla Casa Bianca, tra il capo del Governo italiano, Giorgia Meloni, e il presidente Donald Trump.

In queste ore non sono mancate le dichiarazioni ironiche di esponenti politici delle opposizioni su grami risultati ottenuti dal presidente del Consiglio del nostro Paese. Da ciò che appare, sembra che l’incontro di ieri abbia favorito, più che altro, l’America, che dovrebbe mettere all’incasso investimenti per 10 miliardi di euro e l’acquisto di gas liquido americano da parte dell’Italia e, in generale – supponiamo – da parte dell’Unione europea. In realtà, quando vanno in scena questi incontri bisogna tenere conto del fatto che le parti potrebbero avere interesse a non scoprire tutte le ‘carte’. Ribadiamo: da quello che appare in questa fase sembra che l’Italia abbia ottenuto poco o nulla. Ma non va dimenticato che la Meloni, almeno ufficialmente, si è presentata come una sorta di elemento politico di raccordo tra Unione europea a Stati Uniti d’America.

Forse per provare a capire il valore di un incontro ad alto livello bisogna ricordare, per grandi linee, il viaggio effettuato qualche settimana addietro dal premier spagnolo, Pedro Sanchez, in Cina. Anche in quell’occasione il capo del Governo della Spagna ha detto e ribadito che si recava nel Paese del Dragone per rinsaldare i legami culturali ed economici tra Unione europea e Cina, che l’importante è che Ue e Cina dialoghino e incrementino le attività commerciali e bla bla bla. E sarà stato di certo un viaggio all’insegna della difesa delle ragioni dell’amicizia tra il Paese di Xi Jinping e l’Europa, quello di Sanchez. Però c’è stato anche dell’altro.

Basta leggere alcuni passi di un articolo pubblicato da euronews: “I livelli di commercio tra Spagna e Cina continuano a crescere, ma con un marcato squilibrio a favore del gigante asiatico. Secondo i dati del Ministero dell’Economia, nel 2024 le importazioni spagnole dalla Cina hanno superato i 45 miliardi di euro, mentre le esportazioni sono state di appena 7,4 miliardi di euro. La Cina è quindi il quarto partner commerciale della Spagna, il suo secondo fornitore di beni, ma solo la dodicesima destinazione delle esportazioni spagnole… Tra i prodotti che la Spagna acquista dalla Cina ci sono macchinari, prodotti tessili e beni di consumo. Negli ultimi anni ha acquisito importanza anche l’importazione di automobili e motocicli. Le aziende spagnole esportano principalmente prodotti chimici, minerali e componenti industriali. La Cina si è affermata come il principale mercato asiatico per le vendite spagnole e più di 14.500 aziende spagnole intrattengono rapporti commerciali con il Paese. Le cifre degli investimenti bilaterali sono invece più equilibrate, anche se ancora modeste. Nel 2023, la Cina ha stanziato 131 milioni di euro per progetti in Spagna, mentre gli investimenti spagnoli in Cina hanno raggiunto i 91 milioni di euro.

Sebbene i volumi siano ancora modesti, entrambe le economie mantengono un crescente interesse a rafforzare i legami in settori strategici come la tecnologia, l’energia e la logistica” (qui per esteso l’articolo di euronews: https://it.euronews.com/my-europe/2025/04/11/spagna-pedro-sanchez-a-pechino-per-rafforzare-il-commercio-con-la-cina-tra-le-incertezze-d).

Insomma, non è da escludere che possano essere stati affrontati altri argomenti, che magari riguardano i rapporti tra Italia e Stati Uniti d’America. Questo non lo possiamo sapere. Ma sappiamo che è un po’ problematico trattare le questioni commerciali con gli americani presentandosi come Unione europea.

La Ue, lo ricordiamo, conta 27 Paesi e, piaccia o no, ogni Paese ha esigenze diverse. Facciamo un esempio semplice. Come abbiamo già scritto, l’America di Trump ha respinto la proposta, avanzata dall’Unione europea, di dazi zero tra UE e USA in materia di prodotti industriali e automobili. Tale proposta non poteva che essere respinta da Trump. La linea di politica economica dell’attuale presidente americano, in materia di auto, è di riportare nel suo Paese le industrie automobilistiche statunitensi che hanno trasferito i propri stabilimenti in Paesi esteri: per esempio, in Canada e in Messico. Trump è contro la globalizzazione dell’economia e contro le cosiddette delocalizzazioni, ovvero il trasferimento degli stabilimenti industriali nei Paesi dove il costo del lavoro è più basso.

Tecnicamente si chiama dumping salariale e Trump è contrario, perché vuole riportare le aziende automobilistiche americane nel suo Paese per creare posti di lavoro. Che senso ha, se la linea di Trump è questa, proporre di esportare auto europee – che peraltro sono per lo più tedesche – in America? E infatti il ‘No’ del presidente americano è stato secco!

La proposta dell’Unione europea su dazi zero per prodotti industriali e auto non è molto indovinata, mettiamola così, anche se la guardiamo dal punto di vista dei Paesi europei che non hanno interessi nel settore automobilistico e nell’indotto dello stesso settore automobilistico. Il dubbio è che tale proposta aveva come obiettivo la tutela dei Paesi Ue che producono auto e componenti delle auto e non di tutta l’economia dell’Unione europea. Non sarebbe più logico che ogni Paese europeo trovi le proprie intese con gli USA, come in parte ha fatto la Spagna con la Cina?