Trattative su dazi doganali USA-Ue: tutto sta filando liscio o la quiete americana annuncia una tempesta?

A che punto è la trattativa sugli scambi commerciali tra Stati Uniti d’America e Unione europea? Nei giorni scorsi è venuta fuori una notizia forse un po’ troppo ottimistica: l’accordo veniva dato per raggiunto con dazi reciproci del 10%. Certo, tutto è possibile, anche che gli americani impazziscano e concedano ai Paesi Ue – soprattutto a tre Paesi Ue: Germania, Irlanda e Italia – di proseguire a esportare tutti i prodotti che vogliono continuando ad accumulare surplus a spese degli USA: 70-80 miliardi di euro all’anno per i tedeschi, una cinquantina di miliardi all’anno per gli irlandesi e una quarantina di miliardi all’anno per gli italiani. La tesi sembra inverosimile e contrasta con la linea di politica economica dell’amministrazione di Donald Trump, impegnata a contenere il deficit federale e il debito.
‘Regali’, chiamiamoli così, che ha ereditato dalla passata amministrazione del Partito Democratico. Tutto è possibile, anche l’impossibile. E, in effetti, stando a quello che si legge in queste ore, sembra che Trump abbia un po’ ammorbidito la sua posizione: la data del 9 Luglio, termine entro il quale USA e Ue dovranno aver raggiunto un accordo per evitare il ricorso ai dazi doganali, forse potrà essere sforato. Come interpretare questo ammorbidimento dell’attuale amministrazione americana? Due i possibili scenari. Primo scenario: il presidente americano sa che per l’Ue è difficile rinunciare a buona parte dei quasi 200 miliardi di euro di surplus annuale, soprattutto dopo l’accordo che impone a tutti i Paesi NATO (e quindi anche ai Paesi europei) di finanziare la stessa NATO con il 5% del proprio Prodotto Interno Lordo (PIL) e sta concedendo altro tempo. Secondo scenario: quella di Trump potrebbe essere la quiete prima della tempesta: siccome l’accordo non c’è, il presidente si prepara ad appioppare dazi del 50% ai Paesi Ue e lo farebbe alla sua maniera: ovvero improvvisamente, con un colpo di teatro.
Intanto, di balordaggini, in giro, se ne leggono tante. Come il consiglio, all’Unione europea, si prepararsi a uno scontro frontale con l’America. Questa posizione, in verità, esiste: e potrebbe essere la posizione della Germania che, lo ribadiamo per l’ennesima volta, non ha intenzione di rinunciare a buona parte degli 80 miliardi di euro che incassa ogni anno esportando i propri beni negli Stati Uniti d’America. E’ la follia della globalizzazione economica: pensare di fare PIL esportando all’infinito i propri beni in un mondo che, fino a prova contraria, è finito. Il commercio di beni tra i Paesi del mondo è sempre esistito, sin dall’antichità. Ma che i Paesi debbano impostare i propri sistemi economici non in funzione dei beni e dei servizi che servono ai propri cittadini per vivere ma in funzione dell’esportazione di beni e servizi senza fine è una forma di patologia-follia economica che sta portando il sistema verso il baratro. L’America di Trump, con lo stop all’arrivo senza fine di beni nel proprio Paese con il ricorso ai dazi doganali, ha solo accelerato una crisi che era già nel sistema ultra-liberista e globalista. Non è difficile capire questi concetti elementari. Ma l’attuale classe dirigente tedesca si rifiuta di capirli. Così si rischia di ‘impiccare’ tutta l’Unione europea sugli interessi della Germania.
Sono proprio i tedeschi che non ne vogliono sapere di ‘inghiottire’ una sensibile riduzione delle proprie esportazioni in America (con una contestuale riduzione del proprio PIL). Come abbiamo già sottolineato, la globalizzazione economica era già in crisi prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca. E il primo Paese Ue in crisi era ed è proprio la Germania, che non sa più a chi vendere i beni che produce. I tedeschi tra euro, cervellotici ‘Patti di stabilità’ e giochi speculativi sui tassi di interessi hanno impoverito i Paesi Ue che acquistavano i loro beni. L’esempio eclatante è rappresentato dall’Italia, che ormai va avanti vendendo i ‘gioielli di famiglia’ per tirare avanti, perché nel frattempo sono anche arrivati i costi della guerra in Ucraina: costi spropositati dell’energia, costi per la fornitura di soldi e armi all’Ucraina, costi per ospitare migliaia e migliaia di profughi ucraini. Per l’Italia ci sono anche gli oltre 100 miliardi all’anno di interessi su oltre 3 mila miliardi di euro di debito pubblico legato sempre al sistema-euro. In una condizione di crisi le famiglie tendono a risparmiare (in Italia infatti il risparmio privato è in aumento). E così, matematicamente, si riducono i soldi per acquistare, per esempio, le auto tedesche.
Insomma, l’economia europea è in crisi, l’economia tedesca è in profonda crisi, al di là delle cretinaggini messe in giro, tipo “l’economia tedesca in ripresa” dopo che questo Paese si è indebitato per di mille miliardi di euro… Insomma, i tedeschi non ve vogliono sapere di ridurre drasticamente le proprie esportazioni verso gli USA. Il quotidiano scenari economici scrive che Bjoern Seibert, capo di gabinetto della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sembra spinga per una risposta durissima dell’Ue agli americani. La cosa non deve stupire: entrambi questi personaggi sono tedeschi e stanno trattando la questione commerciale tra USA e Ue per conto dei 27 Paesi dell’Unione europea. Errore marchiano, perché i 27 Paesi hanno interessi commerciali diversi e non è facile trovare punti comuni. Sarebbe molto più semplice se ogni Paese Ue trattasse direttamente con gli americani. Ma in questo casi i tre Paesi Ue che incassano gli oltre due terzi del surplus commerciale con gli USA – i citati Germania, Irlanda e Italia – verrebbero sacrificati. Forse i più sacrificati, in questa prospettiva, sarebbero Germania e Irlanda, perché l’Italia, visti i buoni rapporti tra il capo del Governo italiano Giorgia Meloni e Trump spunterebbe condizioni favorevoli. Invece l’Italia rimane ‘prigioniera’ della trattativa arenata tra Germania che tratta, di fatto, per tutt’e 27 i Paesi Ue e America. Ovviamente, il Cancelliere tedesco, Friedrich Merz, appoggia la linea della von der Leyen.
Ribadiamo: non è facile capire come finirà, perché nelle trattative può succedere di tutto. Ma da quello che si legge in giro, l’Unione europea sarebbe già pronta a rispondere ai dazi doganali americani con dazi di 95 miliardi di euro sulle merci statunitensi che entrano in Europa. Con quale ‘forza’ non si capisce, dal momento che tutta l’economia Ue è, come si usa dire in questi casi, con le ‘gomme a terra’. Ma le minacce, si sa, ci stanno. Ma altra e ben diversa cosa sarebbe passare dalle parole ai fatti, soprattutto se gli americani dovessero decidere di appioppare all’Unione europea dazi del 50%, che andrebbero a ridurre forzosamente l’export europeo negli USA, forse con un impatto negativo sull’attuale surplus di quasi 200 miliardi di euro annui ben maggiore del 50%. Non solo. L’Ue minaccia anche di appioppare prelievi fiscali ai cosiddetti Giganti del Web americani. A Trump, che non ama i titolari di questi social, farebbero alla fine un piacere. Mentre i cittadini europei sarebbero costretti a pagare di più per questi servizi.
Altro nterrogativo: passi che la Commissione stia gestendo le trattative, ma eventuali contromisure contro gli USA vedrebbero concordi i Paesi Ue? La domanda non è campata in aria. Un esempio: eventuali ritorsioni europee sugli alcolici americani. Ebbene, questo provvedimento sarebbe un disastro per Italia e Francia, perché gli americani risponderebbero con dazi sui vini italiani e francesi. L’Irlanda, da parte sua, ha fatto sapere che non vuole ‘rogne’ per le attrezzature mediche che vende negli USA. Idem il Belgio per i diamanti. E via continuando con gli altri Paesi Ue. Insomma, ogni Paese dell’Unione europea ha chiesto alla Commissione europea di evitare che gli americani, in un’eventuale guerra dei dazi, si rivalgano sull’export dei propri prodotti. Come potete notare, l’Unione europea, per di difendere gli interessi di ognuno dei 27 Paesi, si è ‘infilata’ in un ginepraio dal quale non riesce più a venire fuori. Gli americani fino ad oggi hanno dimostrato di avere pazienza. Fino a quando Trump non esploderà…