4 Maggio 2024

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Disabilità e giornalismo: il Convegno di studi a Palermo

di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista, docente

Si è concluso lo scorso 4 Dicembre a Palermo, presso Palazzo Chiaramonte-Steri, con il titolo specifico “Le politiche attive per l’inclusione”, un importante evento scientifico concomitante alla Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità, che si celebra annualmente il 3 Dicembre.

Le due giornate del 3 e 4 Dicembre 2021, dedicate al tema disabilità e handicap, sono state patrocinate, tra gli altri, dal Comitato italiano paralimpico e hanno coinvolto numerosi esponenti del mondo della medicina, dell’associazionismo e dello sport.

All’interno della sontuosa sala congressuale, una molteplicità di interventi effettuati dagli esperti giorno 4, valido come formazione obbligatoria per i giornalisti, hanno rimarcato l’importanza di una lotta decisa contro lo stigma che affligge le persone con disabilità, a partire dall’utilizzo di termini dalle caratteristiche discriminatorie, che è compito del buon giornalista bandire, anche attraverso l’utilizzo di opportuni Vademecum da adottare dagli iscritti all’Ordine.
Salvatore Mirabella, atleta paralimpico responsabile dell’associazione “Come Ginestre onlus”, sottolinea, in apertura dei lavori, come “una cosa è dire relegato in sedia a rotelle, un’altra cosa che si sposti con la carrozzina. È necessario cambiare terminologia, perché io non sono portatore di handicap, io non porto alcun handicap, anzi la società mi dà handicap quando non mi fa spostare agevolmente in città”.

Ancora Antonella Folgheretti, giornalista, sottolinea come l’inclusione sia il concetto chiave e dibatte diversi stigmi legati al termine disabile, collegati al linguaggio utilizzato, a partire dal concetto erroneo di Eroe.

“Ogni volta che un giornalista dice eroe a un disabile ci si imbatte in uno stigma.
Non tutti sono atleti paralimpici, puoi essere disabile, ma non eroe, come un tetraplegico che fa il blogger, ma non può fare per esempio l’atleta. Il termine eroe puzza un po’, abbiamo il dovere di abbattere le barriere architettoniche e mentali. Dovrebbero emergere la forza della vita, non l’eroismo, e i punti oscuri, le criticità, di chi vive una condizione di tetraplegia o sclerosi multipla. Se il nostro obiettivo è fare click va bene tutto, anche osannare all’eroe, ma non dovrebbe emergere l’eroismo, bensì la bellezza della Vita; sbagliato inoltre dare un’immagine asessuata del disabile, poiché si evidenzia solo il ripudio del Diverso. La parola handicap inoltre è utilizzata come un insulto, l’informazione scorretta fa male alle persone in generale, le persone non sono zavorra, tutti siamo malati, eppure io non sono la mia malattia. Io sono la persona X, non la mia malattia, ecco perché la disabilità è una caratteristica come puo’ esserlo la calvizie o gli occhi azzurri. Invalido come non valido, qui entriamo in un campo minato, perchè siamo in una categoria della burocrazia che ha dato questa etichetta: personalmente sono assolutamente in disaccordo, si tratta completamente di persone, non di persone meno valide o invalide. E ancora, in termini di terminologia legata al disabile, si racconta di persone meravigliose, simpatiche, come se non dovessero essere arrabbiate come tutti, invece i disabili sono pure antipatici”.

Stigmi e visione medico-sociale nella relazione di Carmela Tata, Autorità Garante Persona con condizione di disabilità, che, dal canto suo, mette in evidenza come oggi si debba parlare di prospettiva biopsicosociale per comprendere un fenomeno in cui entrano in gioco fattori fisici e culturali, infatti “la disabilità è nell’ambiente e il problema di salute nasce nell’ambiente, come assenza di benessere”.

Dalla medicina allo sport il passo è stato breve, sempre sul filo del rispetto e della valorizzazione di chi porta con sé una diversità. Marcella Li Brizzi, campionessa di scherma, infatti puntualizza che “con lo sport si danno strumenti per rendere i ragazzi consapevoli delle loro capacità e per fare gestire le loro cose, come la tuta sportiva, infatti gli sportivi non devono perdere gli oggetti personali. Il lavoro degli operatori è di rendere autonomi i ragazzi, i quali non partono con i genitori per le partite, ma con i gestori delle società e perciò chiamati a maggiori responsabilità”.

Cosa dire invece della mancanza di rispetto? “Esempi eclatanti di non rispetto per i disabili? Gli ascensori piccoli, moltissime scale, è la società che ci limita. Parliamo di barriere mentali, non tanto di barriere architettoniche, come parcheggiare sulle strisce dei disabili – continua la campionessa – Perché guardare ai parcheggi per disabili come privilegi? Se agevolo un disabile agevolo anche un normodotato. Tutto sbagliato, forse, ma ecco che arriva in aiuto lo sport, uno strumento che ti rende indipendente, adatto alle persone con disabilità di ogni tipologia. Attraverso lo sport si cresce e si superano le paure, come prendere il primo aereo in vita propria per fare una gara. Non dobbiamo avere paura della paura o dei disagi, per esempio se vado al supermercato e il prodotto che mi occorre è posto in alto ho difficoltà, è chiaro, ma questo deve spingerci a chiedere dei diritti che spettano in quanto esseri umani. Basterebbe avere una pinza per prendere i prodotti sullo scaffale alto, diciamolo, e che i giornalisti lo scrivano! D’altronde anche chi è basso di statura è limitato, è un disabile a suo modo, anche se non in carrozzina, quindi nulla di strano nel pretendere sussidi e ausili pratici che non facciano scivolare dalla menomazione di un arto a una condizione fattiva di handicap e invalidità”.

E qui l’appello va alla struttura degli ambienti, alla previsione di spazi di manovra adeguati: perché i disabili sono in un solo bagno, senza distinzione tra uomini e donne? Perché il bagno dei disabili è così alto, quando l’altezza della carrozzina è tale da poter creare seri incidenti? Perché gli ingegneri non prevedono ascensori larghi anche per i disabili in fase di progettazione degli immobili?

E mentre lo sport aiuta a capire che la vita non è finita, ma semplicemente cambia (si imparano a fare cose diverse, si impara ogni giorno a condurre una vita Abile), si attendono ancora delle risposte sociali che farebbero davvero perdere ragion d’essere al concetto di handicap sol perché legato a menomazione fisica o psichica da compensare con strumenti di carattere sociale, medico, tecnico, istituzionale.

Sport come stimolo e Istituzioni come limite, da stimolare a sua volta a una corretta visione del disabile come Persona a tutti gli effetti, e non sottocategoria con deficit insormontabili e concessioni speciali dovute alla propria condizione piuttosto che a un diritto in quanto cittadino di serie A.

Un’idea sostenuta a gran forza da Roberta Cascio, delegato regionale della Fisdir (Federazione Italiana degli sport paralimpici dei disabili intellettivi e relazionali) e vicepresidente del CIP Sicilia (Comitato Italiano Paralimpico).

“Lo sport viene praticato dai disabili intellettivi e relazionali sia a livello agonistico che promozionale: queste persone nella nostra società sono le più deboli e devono essere protette, incontrando molte difficoltà a inserirsi nella società. Le persone con disabilità intellettiva, attraverso lo sport, riescono a raggiungere una certa autonomia e a stare con gli altri. Sicuramente ci dovremmo chiedere quale percezione hanno le persone delle persone disabili, infatti mi è rimasta impressa nella mente la frase dettami da una giornalista a telefono, Dalla sua voce non avevo capito che era disabile. Questo dice molto, fortunatamente non sono un tipo che si offende e ho iniziato a ridere. Bisogna accettare le frasi non molto felici delle persone con una certa ironia. Si tende a etichettare tutti quanti, ma sicuramente penso di essere solo una persona che guarda la vita da una prospettiva diversa e precisamente da seduta, i cosiddetti Normodotati si relazionano normalmente con le persone disabili, se queste si comportano allo stesso modo. Si dovrebbe partire dal concetto che tutti siamo uguali anche con le nostre peculiarità, ma purtroppo le persone disabili si scontrano giornalmente con le barriere architettoniche e mentali, che sono le più difficili da abbattere, possiamo sperare che vengano eliminate dalle generazioni future. Eppure queste barriere architettoniche potrebbero essere superate più facilmente se lo Stato rendesse più accessibili economicamente tutti gli ausili esistenti, che però hanno prezzi proibitivi per la maggior parte delle persone disabili. In ultimo mi duole dire che in Italia è stato istituito il Ministero della Disabilità e che questo fa capire come siamo ancora lontani anni luce dal non essere considerati cittadini di serie B”.