di Angela Ganci, psicologo psicoterapeuta, giornalista e docente
Dieci giorni di permesso da detenuto utilizzati per restituire a una povera donna una gran quantità di monete perse per strada, a causa dello sganciarsi della propria borsa, un’azione insolita per un detenuto. “Tutti dovrebbero imparare da te”, “hai fatto un’azione degna di merito”, “tutti ti intervisteranno”.
Questo l’incipit di “Un Eroe”, film del 2021 scritto e diretto da Asghar Farhadi, presentato in concorso al 74º Festival di Cannes, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria.
Un film avvincente e appassionante, a tratti amaro, la cui atmosfera scattante si fa sentire fin dai primi minuti, dove l’inno all’Eroe fa da subito presa sul telespettatore.
Ma chi è il detenuto Modello?
Un uomo (Rahim Soltani, interpretato da un ottimo Amir Jadidi) che aveva chiesto all’ex cognato Braham (Mohsen Tanabandeh) in prestito dei soldi per aprire un’attività, il cui socio era scappato e il cui creditore l’aveva denunciato, senza sconti e senza tentennamenti. Una borsa allora trovata per caso per strada: quale migliore modo per risarcire il debito? Questo avrebbe però ricondotto il detenuto al suo valore di ladro e disonesto, non di Eroe quale ben presto diventerà.
In effetti all’inizio c’era stata l’idea di prendere quei soldi e risarcire il debito, ma aveva prevalso il pensiero di un’azione illegale, ingiusta, che avrebbe arrecato un danno alla coscienza, da cui la scelta di restituire i soldi alla proprietaria, senza neppure chiedere il recapito telefonico.
Una scelta radicale che influenzerà un destino, ma non necessariamente nel senso di un Eroe e della sua Fortuna.
Rahim, spinto quindi a raccontare le sue gesta eroiche di fronte a una telecamera, omettendo il piccolo dettaglio per cui la borsa non era stata trovata da lui, ma consegnata allo stesso inizialmente per pagare i debiti con il creditore, inizia quindi la sua fama di Uomo onesto, Eroe.
Un modello di Virtù per cui si raccolgono fondi, tra i detenuti, con il coinvolgimento di Associazioni, tutto per renderlo un Uomo libero, rendendogli indietro un’impresa sotto molti aspetti eroica.
Una chiara indicazione di come la televisione del dolore influisca sulle scelte e sulle opinioni delle persone, di come definire un Eroe possa essere molto facile e di come trasformarlo in un batter d’occhio nel Criminale altrettanto semplice.
Una collaborazione e una solidarietà per l’Uomo benefattore per certi versi commovente, così come commovente appare la dichiarazione del figlio balbuziente di donare i suoi risparmi per sanare il debito del padre, di fronte all’unico che può rendere libero il detenuto: il creditore.
Un creditore che non ritiene invece affatto Eroe chi “non ruba perché semplicemente non dovrebbe rubare”, che si definisce egli stesso Eroe per “aver venduto i gioielli per aiutare il detenuto ad aprire un negozio in proprio” e non Cattivo perchè vuole indietro tutti soldi.
Rahim, Eroe osteggiato, benvoluto dal direttore del Penitenziario, che diverrà, per tutti (e per i telespettatori, probabilmente) un Eroe bugiardo (la cui unica omissione, quella di non aver trovato direttamente la borsa, sarà l’inizio della fine), un Eroe che, con la stessa velocità di un click di Facebook, diviene poco affidabile, a cui vengono ritirati i soldi donati perché non meritevole, a cui infine verrà negata la libertà.
Un Eroe, un film complesso, in particolare nella parte dedicata al Mantenere la Reputazione, al difendere la propria immagine anche di fronte ad accuse non particolarmente forti (in effetti l’idea di restituire la borsa era stata di Rahim, quindi poco importa se non fosse stato lui a trovarla, ma solo ricevuta).
Ed ecco il passaggio, repentino e deprimente, da Eroe di una donna debole a Uomo avido che vuole impietosire il mondo per raccogliere i soldi per estinguere il debito, a criminale che picchia per disperazione il cognato, a detenuto giustamente minacciato dal video della Verità in cui quella borsa veniva ritrovata, ma non dall’Eroe in persona.
Un Eroe che ha mentito su un punto, in verità, di importanza molto discutibile, ma che mette in subbuglio l’intera vicenda, un fatto che mina la sua credibilità, che getta il figlio balbuziente nello sconforto.
Contrastare le voci diffuse in base alle quali il detenuto ha mentito e merita solo disprezzo come ultimo disperato tentativo, rilasciando interviste, facendo intervenire il figlio disperato, sfruttando la naturalezza della sua balbuzie con effetto commovente: tutto pur di arrivare alla Verità e alla Libertà.
Perché il vero Eroe è colui che mira al suo buon nome, non a facili adulazioni, che mira a far del bene anche se ciò significa essere per sempre un detenuto, un criminale, un ladro, senza redenzione.
Anche se il luogo dove dovrà passare i suoi ultimi anni sarà sempre e comunque una cella e il destino un numero a lui attribuito, un numero da carcerato e una cella che chiude alle spalle la speranza della libertà e la beffa amara di una società che sembra appoggiare le proprie opinioni “sul sensazionalismo e l’influenza delle masse”.
Una massa spietata, in grado di determinare il successo o il fallimento di un uomo da un commento sui social, perché, in un mondo di Eroi e Maledetti, la superficialità dei giudizi sarà sempre preponderante sul contenuto.
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